Don Peppino Diana, testimone di una Chiesa che combatte le mafie

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«Bisognerebbe stare scalzi sul pavimento della sacrestia di don Peppino Diana. È terra sacra». Da ventinove anni, alle 7.30 di ogni 19 marzo, a partire da quello tragico del 1994 in cui don Peppino Diana fu ucciso dal clan dei casalesi, don Luigi Ciotti non manca mai a Casal di Principe: a dir messa, a onorare la tomba del sacerdote che si è battuto contro gomorra.

«Casal di Principe è molto cambiata: sta diventando una città normale, ma loro, i camorristi, vogliono tornare, dobbiamo stare attenti», aveva detto lo scorso anno. E, mentre si confidava con le persone che lo accompagnavano alla tomba di don Peppino, si guardava intorno, involontariamente. Dietro di lui centinaia di persone, di ragazzi. La Chiesa, che lo aveva lasciato solo nei primi tempi dopo l’uccisione, adesso ha capito che don Peppino è stato un martire per la giustizia. Un testimone da seguire. Per un società che ascolta e che semina perché la criminalità non sia mai più la risposta al disagio e alla povertà di certe terre.

Sul numero di Famiglia cristiana in edicola, in vista del 21 marzo, giornata della memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie, un lungo speciale sul sistema criminale che stringe il nostro Paese.





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