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Don Decio: sacerdote da 65 anni

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Nardò, 29 giugno 1960. Nel mio immaginario una giornata soleggiata, calda, ma non mi stupirei se chi c’era quel giorno potesse contraddirmi. Un giovane uomo, con gli occhi lucidi e le mani tremanti era davanti al suo Signore e ai Ministri della Chiesa per dire Sì. Un sacerdote novello, che si inseriva a passi piccoli e col cuore in festa in una vita altrettanto nuova, rinnovata. Un ragazzo di soli venticinque anni che, dopo anni di Seminario, aveva scelto la sua strada. È così che immagino don Decio Merico, sessantacinque anni fa, durante la Celebrazione della sua Ordinazione Presbiterale.

Le persone in – segnano

Lo immagino in preghiera, con l’abito della festa, col cuore pieno di gratitudine e in mano tutte le paure di chi sa quanto importante e grande sia quel passo. Lo immagino tenere speranze e preoccupazioni nel palmo delle mani e offrirle al Suo Signore, certo che avrebbe saputo benedirle e renderle feconde. Lo immagino emozionato e trepidante, come lo sposo che incontra la sua sposa, ma al contempo riesco a vederlo in piedi, attento e presente, premuroso di non sbagliare nulla, perché al Signore si offre tutto il buono che abbiamo e che siamo e rispettoso del momento santo che stava vivendo, consapevole che seppur avesse vacillato, il Signore avrebbe amato anche le sue debolezze, i suoi limiti e le sue fatiche. Lo immagino sentire la voce di Gesù echeggiare nell’intimo del suo cuore: “Mi ami?” e rispondere con animo ardente “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (Gv 21,15-19) e da lì dare inizio ad una storia di fedeltà.

C’è una cosa che da quando conosco Don Decio mi ha sempre stupita, ossia che non esiste un uomo né una donna, né un laico, né un prete, che in Diocesi non abbia conosciuto o perlomeno incontrato Don Decio almeno una volta nella vita. Direte, ma certo, è per l’età. No, non credo. Credo sia perché le persone come lui sembrano nate per restare. Per restare negli occhi della gente, nel cuore delle persone, nelle storie delle comunità, nei ricordi dei fedeli, nelle parole dei confratelli. Le persone come Don Decio insegnano, in – segnano, lasciano segni profondi nelle esistenze di tutti e di tutte. Ma la cosa che mi emoziona ancora di più è che don Decio ricorda i volti, le storie e i nomi di tutti coloro a cui ha stretto le mani, unto il capo, con cui ha spezzato il pane, riso di gioia, portato il Vangelo, vissuto il dolore, condiviso la festa, consapevole del bisogno intrinseco di ogni uomo e di ogni donna di sentirsi visti, accolti, chiamati per nome, riconosciuti, ricolmati in quelle poche lettere di tutta la nostra storia, proprio come il Buon Pastore fa con le sue pecore.

Un sogno di Chiesa

Don Decio, giovane presbitero, era colui che indossava la talare anche ai campi scuola, che alle sei del mattino era già in chiesa a pregare davanti al Santissimo, era ed è colui che guardava all’Azione Cattolica con gioia, ammirazione e tenerezza; era l’uomo che salutava e saluta ancora oggi tutti, giovani, adulti, bambini, anziani, entrando in una stanza e dicendo solennemente “Cristo regni”, ricevendo di tutto punto una risposta altrettanto gioiosa; era ed è un prete che sogna una Chiesa a misura di giovane, che pensa un modo per far sì che il Vangelo possa essere per tutti e per tutte; era ed è un sacerdote molto rispettoso del pensiero, degli insegnamenti e delle decisioni del Vescovo, facendo dell’obbedienza un tratto caratteristico del suo ministero e della sua pastorale. Era ed è colui che nel Sacramento della Confessione permette di fare esperienza vera dell’amore misericordioso del Signore, con il desiderio sempre vivo di non dire “io”, ma di annunciare “Lui”, in ogni modo e in ogni luogo.

Tutti i suoi gesti di cura, di attenzione, tutti i suoi insegnamenti, tutti questi segni di bene donati in questi anni e con cui ancora oggi è balsamo, dopo sessantacinque anni, brillano come piccole luci nei cuori di chi l’ha conosciuto, accompagnato, ascoltato, magari anche solo per un breve tratto di strada e tra i racconti e le voci della gente risuona un ministero sacerdotale dedicato agli ultimi, ai giovani, ai poveri, alle comunità che ha guidato.

Un’eco di bene che continua a propagarsi

Sessantacinque anni di sacerdozio sono un tempo lunghissimo, un tempo che contiene in sé volti, storie, pianti e sorrisi, cadute e rinascite. Eppure, se si chiedesse oggi a don Decio di raccontare la sua vita, probabilmente lo farebbe con la semplicità, l’umiltà e la fede di chi sa che ogni merito va restituito al Padre, e ogni traguardo è solo una nuova occasione per dire grazie.

Quest’anniversario, quindi, non è soltanto una data da celebrare, ma una memoria viva, un’eco di bene che continua a propagarsi. È la testimonianza di un uomo che ha detto “Sì” e ha continuato a dirlo ogni giorno, con il cuore in mezzo ai cuori della gente e le ginocchia tremanti piegate davanti al Santissimo. È il canto sommesso di un’anima che ha fatto del Vangelo il suo respiro, della Chiesa la sua casa, dell’umanità la sua missione.

Grazie, don Decio, per i tuoi passi tra noi. Per ogni sorriso, per ogni preghiera, per ogni silenzio abitato di presenza. Grazie perché, senza clamore, sei stato un segno della fedeltà di Dio. E in questo tempo in cui tutto sembra dover correre e cambiare, la tua presenza ci ricorda che c’è ancora chi resta. E chi resta, lascia il segno.



Dal sito della diocesi

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