Dimenticarsi di sé per gli ultimi, l’unico relativismo lecito

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Su L’Osservatore Romano don Lugi Epicoco si fa coinvogere dalla domanda di Francesco sulla sofferenza dei bambini, sollevata ieri all’Angelus dal Gemelli: il Papa che invoca sguardi per i crocifissi di oggi ricorda che avere fede vuol dire “smettere di pensarci come assoluti” per riportare “tutto su ciò che conta: Cristo”

di Luigi Maria Epicoco

La figura bianca del Papa affacciato dal balcone del Policlinico Gemelli ha fatto tornare in mente a molti di noi un altro Papa, san Giovanni Paolo ii. La voce non particolarmente squillante e il viso un po’ teso ci hanno ricordato che questi giorni passati sono stati giorni impegnativi per Papa Francesco. Ma quel balcone del Policlinico Gemelli è diventato in pochi istanti un ambone incandescente. Infatti alla gratitudine per le cure ricevute il Papa ha fatto seguire il grido di giustizia per tutti coloro che non hanno invece la possibilità di accedere in maniera gratuita alle cure mediche. Ancora una volta il Pontefice ha voluto spostare lo sguardo sugli invisibili, su coloro che la società non vede più, gli ultimi. Anche Gesù, nel baccano del Tempio, e nell’andirivieni della gente, aveva occhi per accorgersi di una povera vedova che con discrezione immensa dava tutto quanto aveva per vivere (Mc 12, 41-44). O sempre in una Sinagoga si accorgeva di un malato tenuto in disparte, forse trattenuto lì appositamente per metterlo alla prova in giorno di sabato vedendo se lo avrebbe guarito comunque; «Mettiti in mezzo» gli dice (Mc 3, 1-6). Ma ad un tratto Papa Francesco ha rivolto lo sguardo su dei bambini malati accanto a lui, e ha detto testualmente: «Perché soffrono i bambini? Perché soffrono i bambini è una domanda che tocca il cuore».
 

Domande come queste ci mettono in ginocchio davanti al Mistero. Ci ricordano che ci sono cose davanti a cui possiamo solo fermarci e altre per cui invece possiamo fare qualcosa. Sembra che il Papa abbia voluto dirci che dobbiamo fare i conti con l’umiliazione dell’impossibilità, e allo stesso tempo dobbiamo ricordarci che ci sono cose invece per cui esiste la responsabilità del nostro possibile. Non possiamo dire “perché” un innocente soffre, ma alla maniera di Maria, di Giovanni, possiamo decidere di rimanere sotto la Croce di questi innocenti non lasciandoli da soli.

Il Papa in questi giorni ha piantato la sua Croce in mezzo a quella di tanti altri crocifissi, realizzando visibilmente quella “preghiera semplice” attribuita a san Francesco che recita proprio così: «O Maestro, fa’ ch’io non cerchi tanto: / Essere consolato, quanto consolare. / Essere compreso, quanto comprendere. / Essere amato, quanto amare. / Poiché è dando, che si riceve; / Dimenticando se stessi, che si trova». Il Papa ha voluto che dimenticassimo la sua malattia affinché ci ricordassimo di quella degli ultimi. Questo è il relativismo cristiano, l’unico relativismo lecito perché ci fa smettere di pensarci come assoluti e riporta tutto su ciò che conta: Cristo stesso, ugualmente nascosto nell’Eucarestia e negli ultimi.

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