Dall’ingresso in Sistina all’annuncio dalla Loggia della Benedizione, è la lingua latina da secoli a scandire i momenti decisivi dell’elezione del Papa. Ma per il caso del “nome pontificale” non c’è una scelta univoca
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Se nelle Congregazioni generali dei cardinali, a cui è affidato il governo durante la “Sede Apostolica vacante”, è previsto un servizio di traduzione simultaneo, nella Cappella Sistina – dall’Extra omnes, all’Habemus papam – torna protagonista la lingua latina come idioma ufficiale della Chiesa cattolica. Nel Palazzo Apostolico, tutto il cerimoniale dell’ingresso al Conclave, con i cardinali elettori che si muovono in processione dalla Cappella Paolina al Sacellum Sixtinum, al canto delle Litanie dei Santi, seguito dal Veni Creator Spiritus, fino alla formula del giuramento sul Vangelo di ciascun porporato, e poi all’invito ai non autorizzati ad abbandonare il luogo che sarà “chiuso a chiave”, è scandito da formule latine stabilite dall’Ordo rituum conclavis.
Extra Omnes
Si tratta di “termini tradizionalmente nati e utilizzati in lingua latina, recepiti e conservati nei secoli per disciplinare con precisione e definire questi passaggi cruciali della vita della Chiesa”, spiega don Davide Piras, che fa parte della squadra di scriptores dell’Ufficio Lettere Latine vaticano. L’Extra omnes (Fuori tutti), che il pomeriggio del 7 maggio sarà “intimato” dal maestro delle Celebrazioni Liturgiche pontificie, l’arcivescovo Diego Ravelli, al termine del giuramento dell’ultimo dei cardinali elettori, è l’invito agli estranei al Conclave a lasciare la Cappella Sistina, poiché l’elezione papale è segreta. “Si tratta di una preposizione seguita dal caso accusativo che comanda a tutti i presenti non autorizzati di abbandonare il luogo che si appresta ad essere chiuso a chiave”, spiega don Piras. “La frase un tempo veniva pronunciata all’inizio del Concistoro segreto e nelle fasi iniziali dell’assise conciliare, con lo stesso invito ad abbandonare il luogo ai non addetti”.
Eligo in Summum Pontificem…
Anche la scheda elettorale utilizzata in Sistina, secondo quanto stabilito dalla costituzione Universi dominici gregis, deve recare scritte, nella parte superiore, alcune parole latine: Eligo in Summum Pontificem (Eleggo Sommo Pontefice), mentre nella metà inferiore è lasciato il posto per il nome dell’eletto. Se al termine del conteggio dei voti i tre cardinali scrutatori constatano che uno dei votati ha ottenuto almeno i due terzi, si ha l’elezione del Papa canonicamente valida. Il Cardinale Decano, o il primo dei Cardinali per ordine e anzianità, chiede il consenso dell’eletto ancora con una formula latina Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem? (Accetti l’elezione a Sommo Pontefice?) e a risposta affermativa, aggiunge: Quo nomine vis vocari? (Come vuoi essere chiamato?), domanda a cui l’eletto risponde con il nome pontificale.
“Abbiamo il Papa!”
Quindi il primo dei Cardinali Diaconi, il protodiacono – per questo Conclave, il cardinale Dominique Mamberti – sarà incaricato, secondo il n. 74 dell’Ordo Rituum Conclavis, di annunciare dalla Loggia dell’Aula della Benedizione della Basilica Vaticana, l’avvenuta elezione e il nome del nuovo Pontefice, che, subito dopo, impartirà la Benedizione Urbi et Orbi. “Il testo latino del cosiddetto Habemus papam – spiega don Piras – è in parte ispirato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, che riporta le parole dell’Angelo che annuncia ai pastori la nascita del Messia. L’adozione di questa formula è sicuramente precedente al 1484, anno in cui è certo venne usata per l’elezione di Giovanni Battista Cybo, che assunse il nome di Innocenzo VIII”. “La si fa risalire – spiega ancora lo scriptor dell’Ufficio lettere latine – all’elezione di Papa Martino V nel 1417. Prima di lui, infatti, a reclamare in quel periodo tormentato la legittimità della propria carica pontificia erano stati, per vicissitudini legate al Concilio di Costanza, addirittura tre papi”. “L’annuncio – aggiunge don Piras – poteva suonare quindi in quelle circostanze anche come: «Finalmente abbiamo un papa, e uno solo!»”.
Habemus Papam
La formula completa prevede le parole latine: Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam! Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum (e qui va il nome di battesimo dell’eletto in accusativo), Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem (qui va il cognome dell’eletto non tradotto in latino), qui sibi nomen imposuit (e qui va il nome pontificale, seguito dall’eventuale numero ordinale). Formula che può tradursi in italiano: “Vi annuncio una grande gioia: abbiamo il Papa! È l’eminentissimo e reverendissimo signor, signor … , cardinale di Santa Romana Chiesa … che ha scelto il nome …”. Ma la scelta del caso latino in cui viene annunciato il nome del Papa non è univoca.
Formule diverse ma tutte corrette
“Se consideriamo il secolo scorso e quello corrente – precisa don Piras – l’annuncio del nome pontificale del nuovo Papa è stato effettuato, almeno tre volte – per Pio XII, Paolo VI e Francesco – utilizzando il caso «accusativo» latino e quindi le espressioni Pium, Paulum e Franciscum. Mentre per ben quattro volte, per l’elezione di Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il protodiacono utilizzò il «genitivo epesegetico» e quindi le formule Ioannis, Ioannis Pauli e Benedicti”. “Il genitivo «epesegetico» – spiega ancora il latinista dell’ufficio vaticano – è l’uso vero e proprio del complemento di specificazione, in quanto determina un concetto generico. Quando invece si utilizza l’accusativo il nome del papa è grammaticalmente un’apposizione e ha lo stesso caso del nome cui si riferisce e cioè nomen, nel caso della formula papale”. “Tornando ancora indietro nel tempo – aggiunge lo scriptor – scopriamo che nel XIX secolo per l’elezione di Leone XIII e di Pio IX il nome pontificale fu annunciato con il caso nominativo – quindi Leo e Pius – come apposizione del soggetto qui. Una scelta grammaticale compiuta anche nei secoli precedenti. Si tratta di in tutti i casi di formule corrette, quindi alternative, anche se per alcuni l’accusativo sarebbe da preferire per una questione stilistica”.
Il numero ordinale
“Per quanto riguarda il numero ordinale – conclude don Piras – la consuetudine vorrebbe che esso venga pronunciato solo se il Papa eletto non è il primo a portare quel nome pontificale. Ma anche qui ci sono state varianti. Nel caso di Pio XII il Protodiacono Camillo Caccia Dominioni omise l’ordinale, mentre nel 1978 il cardinale Pericle Felici lo aggiunse nell’annuncio di Giovanni Paolo I – Ioannis Pauli primi – e lo omise per il suo successore Giovanni Paolo II”.
Quel “tesoro” della lingua latina
Si tratta di scelte fatte sul momento che hanno caratterizzato momenti storici rimasti nella memoria collettiva di credenti e non. Attimi in cui la lingua latina si conferma non solo un “tesoro di sapere e di pensiero”, come ha affermato Papa Francesco, ma anche protagonista della vita della Chiesa con la sua tradizionale solennità e bellezza.