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Da Tel Aviv agli attacchi a sinagoghe, la memoria delle persecuzioni contro gli ebrei è per il presente

Per attualizzare il Giorno della Memoria abbiamo decenni di fotografie e filmati che documentano l’orrore dei campi di sterminio nazisti. Abbiamo le lacrime, le testimonianze dei sopravvissuti, monumenti a una storia che, si prometteva, non avrebbe mostrato il suo volto mostruoso «mai più». Un «mai più» invocato ma non realizzato.

Ogni guerra passata e presente, lontana o vicina, ci ha dato altre fotografie, altri ¬ filmati di uomini e donne umiliati, violentati nel loro corpo e nella loro dignità. Tutti i giorni, per chi non nasconda occhi e orecchie, dagli schermi della TV o degli smartphone giungono i loro sguardi stravolti, le loro grida. Ma il Giorno della Memoria istituito anche dall’assemblea delle Nazioni Unite il 1 novembre 2005, nella nostra Repubblica è stato riconosciuto con una legge apposita, il 20 luglio del 2000, e fissato al 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz.

Una legge voluta con tenacia da un ebreo da poco scomparso, giornalista e politico, Furio Colombo, «al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei». Non quindi una memoria vaga, ma proprio quella dello sterminio del popolo ebraico.

Una colpa del passato? Nell’ultimo anno e mezzo dall’infame attacco orchestrato da Hamas il 7 ottobre 2023 a cittadini inermi di Israele, i casi di antisemitismo si sono decuplicati. Scorrono adesso le immagini dei cartelli insultanti dei giovani nelle nostre università, che attribuiscono a un popolo, ancora, di nuovo, la responsabilità di una guerra, orrenda guerra, aizzata da un’organizzazione terroristica e sostenuta economicamente e militarmente da teocrazie canaglie, Iran, Cina, Russia

Vediamo un’altra sinagoga, a Bologna, attaccata durante una manifestazione che pretendeva di difendere un ragazzo morto in uno scontro con la polizia, e il tempio non centrava nulla.

Ma soprattutto ho in mente, stampate, due immagini: i volti delle soldatesse catturate 474 giorni fa, in un video immondo in cui appaiono livide, ferite, mentre la voce dei torturatori urla: «Cagne, vi calpesteremo». Sono volti di ragazze sottoposte in qualche tunnel nascosto a chissà quale tormento.

L’altra immagine, drammatica, pacificatrice, struggente, è La crocifissione bianca di Marc Chagall, esposta in questo inizio di anno giubilare in un nuovo museo romano. Un metro e mezzo per lato, non occupa una parete, ma tutto lo spazio del cuore. Chiaro è il corpo del Cristo morto, chiaro il Tallit cinto ai fianchi, perché il Cristo è un ¬ figlio di Israele, chiara la luce che squarcia il male, a cui si aggrappa la speranza dei perseguitati. Bandiere rosse sventolano incendiando un villaggio, spargendo corpi e cose. Bandiere naziste assaltano una sinagoga, bruciano e distruggono gli oggetti sacri. I patriarchi lamentano, pregano, l’ebreo errante si carica il suo sacco di esule sulle spalle. Ma la luce della Menorah, pur fioca, continua a brillare e le braccia degli ebrei migranti si tendono verso il Cristo che illumina il loro destino, e il nostro. È un quadro splendido, che illustra la memoria. Ma la memoria è per il presente.

Immagine in alto: un momento delle proteste delle famiglie degli ostaggi israeliani catturati da Hamas pochi giorni dpoo l’attacco del 7 ottobre 2023 (foto ANSA)





Dal sito Famiglia Cristiana

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