Cyberbullismo: quando i social diventano pericolosi

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Sono un nonno di un ragazzino di 13 anni, proprio come quell’Alessandro, il ragazzo suicida di cui tutti parlano in televisione e sui giornali. A proposito di questo terribile evento, mi sono a lungo interrogato su come i messaggi scritti su whatsapp o sui social possano realmente colpire questi giovani e addirittura spingerli a uccidersi! Come possono certe persone scrivere cose orribili, ma soprattutto come mai un ragazzo o una ragazza dovrebbero essere così attaccati a dei commenti a volte fatti solo con cattiveria da dei coetanei? D’altra parte, i “bulli” sono sempre esistiti. Grazie per condividere altre riflessioni più professionali della mia. SALVATORE

— Caro Salvatore, condivido il tuo triste stupore e cerco di capire che cosa succede nella mente dei ragazzi. Quelli che minacciano, in questo caso due maggiorenni e quattro minori (indagati dalla magistratura), e chi invece è oggetto di soprusi, fino al punto di cercare la morte come estrema difesa. Chi minaccia perde il senso del valore e della dignità umana dell’altro: come se la capacità di odiare (che tutti abbiamo) venisse lasciata libera e portata all’estremo limite, quella della distruzione dell’altra persona. Augurare il male o addirittura la morte è un’affermazione che non dovrebbe mai entrare, non dico nel linguaggio, ma neppure nel pensiero.

Sono sotto i nostri occhi i drammi prodotti dalla violenza nelle sue diverse forme: dalle aggressioni individuali fino alla guerra. Ma dobbiamo riconoscere che si tratta di una inclinazione dell’uomo, di ogni uomo, da controllare accuratamente: occorrono buoni freni per non lasciare spazio dentro di sé a questi atteggiamenti. Anche in quelle situazioni in cui è più facile lasciarsi andare a questa aggressività distruttiva, come sul Web, dove non si incrocia mai lo sguardo dell’altro ma esiste solo il proprio, quello di chi scrive e manifesta pubblicamente l’odio. Basta leggere alcuni commenti sui social per vedere quanto le riserve di odio siano pronte a esplodere, anche in persone apparentemente miti.

Sorvegliare il proprio odio, tenere vivo il rispetto per l’altro, chiunque egli sia, sono i nostri impegni per l’oggi e per il domani. Di fronte ai “bulli”, poi, c’è il ragazzo che, sopraffatto dalla paura e dalla vergogna, decide di morire. O comunque, anche senza arrivare al gesto estremo, soffre. Occorre rafforzare gli adolescenti di fronte alle paure e alle vergogne. Troppo spesso i ragazzi sembrano reclamare per sé la felicità, senza capire che essa non nasce dalla gioia facile o dalla popolarità, ma da una silenziosa lotta per costruire sé stessi, per affrontare le sfide necessarie per uscire da una infanzia spensierata ed entrare in una vita adulta più consapevole e padrona di sé. Forse noi adulti li inganniamo quando li facciamo sentire meravigliosi e speciali, e li proteggiamo evitandogli le difficoltà che le esperienze di vita portano con sé. Non occorre fare tanti discorsi, serve invece sostenerli negli impegni di ogni giorno, aiutandoli a scoprire la loro forza e la loro tenuta: nella scuola, nello sport, nell’assunzione delle responsabilità in casa e fuori. Solo così cessano di essere fragili e possono consolidare la loro resistenza a certi attacchi feroci





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