Congedo all’80 per cento: «Così i papà saranno più responsabili»

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La legge di Bilancio 2023 ha portato in dono alle famiglie italiane un mese di congedo parentale in più all’80 per cento, per mamma o alternativamente per papà. Una rivoluzione economica e culturale di cui parliamo con Adriano Bordignon, presidente del Forum delle Associazioni familiari del Veneto. «È un altro piccolo ma significativo passo nel sostegno alle famiglie. A maggior ragione se collegato al Decreto “Equilibrio” in vigore dall’estate che va in continuità con le azioni messe in atto per favorire la conciliazione famiglia e lavoro e verso la condivisione maschile e femminile. La speranza è che tutto ciò impatti in ultima istanza sulla denatalità. Organizzazione famigliare, quindi, ma anche diritti e opportunità dei genitori per, infine appunto, invertire la denatalità». 

 

In estate avevamo già accolto con favore la scelta di far diventare obbligatorio il congedo di paternità.

«In estate è stato reso strutturale il congedo di paternità obbligatorio; allungato a 10 giorni e, in caso di parti gemellari o adozioni, a 20. Più l’estensione lungo il ciclo di vita – si può richiedere fino ai 12 anni del figlio – che rende questo intervento davvero interessante.  Oltre a tutti gli aspetti di tutela della paternità: il divieto di licenziamento dei papà durante il congedo e fino all’anno di età del figlio, le tutele in caso di dimissioni. Un passaggio normativo che insiste su una questione culturale significativa particolarmente per l’Italia. Resta scoperto, purtroppo, il settore delle partite iva/liberi professionisti. Da quel che percepisco questo movimento intorno alla genitorialità nasce dallo stimolo europeo di una maggior condivisione dei ruoli di cura tra uomini e donne». 

Adriano Bordignon, 46 anni, presidente delle associazioni familiari del Veneto


Adriano Bordignon, 46 anni, presidente delle associazioni familiari del Veneto



Perché è inutile negarlo: la nostra società porta il segno di un retaggio ancora fortemente patriarcale.

«Storicamente i ruoli di cura sono soprattutto delegati al mondo femminile; l’Istat ci dice che solo quote ridottissime dei padri usano il congedo parentale a fronte di quote enormi. Nel 2019 circa il 90% dei giorni di congedo parentale è stato richiesto dalle donne. Nei paesi nordeuropei il discorso va diversamente. In Svezia dopo l’introduzione nel 1995 della cosiddetta “Daddy Quota” e della normativa successiva, oggi ci troviamo con 9 padri su 10 che chiedono il congedo facoltativo per un totale del 30% dei congedi utilizzati dagli uomini. C’è, anche, una correlazione con la misura economica; noi abbiamo un congedo parentale al 30 per cento dello stipendio. La Svezia offre per tutto il tempo del congedo, 360 giorni totali, l’80 per cento del salario. Sono tante, tantissime le questioni da affrontare».

 

La scelta di dare la possibilità di accedere a questo “mese in più” anche alternativamente ai padri va nella direzione giusta.

«È un primo passo che va assolutamente percorso; avendo ben chiaro che il compito di cura non può essere solo femminile. Per questioni organizzative, educative e di pari opportunità. Spesso le donne si trovano a dover conciliare il carico della cura con l’incertezza lavorativa e troppo spesso sono costrette a scegliere tra lavoro e maternità. Altro tema che impatta è il gender pay gap. Quando le donne non sono adeguatamente retribuite per le loro mansioni rispetto agli uomini sono le prime indiziate a dover abbandonare il lavoro a fronte di imprevisti nella vita familiare o all’onerosità della cura dei più piccoli e degli anziani. Tutti questi aspetti si stratificano e rendono il percorso, per la condivisione dei compiti di cura e la conciliazione, più difficile».

 

Serve a responsabilizzare maggiormente gli uomini.

«Va aiutato il mondo maschile ad assumersi le proprie responsabilità educative e di cura. Per una questione di equilibrio ma anche perché fare i papà è bello e figli hanno bisogno di padri presenti. È una necessità significativa anche per “liberare” tempo per la donna, professionale e personale. Le donne italiane hanno metà del tempo dedicato a sé stesse rispetto alle finlandesi… la mamma italiana normotipo si sveglia presto, prepara i figli, va al lavoro, organizza la spesa, torna, prepara la cena e via così. Un’equilibrista dai super poteri. È in gioco la qualità della vita delle persone, delle famiglie e delle comunità. È in gioco anche la questione della natalità. Progettare di avere figli quando si è sempre con l’acqua alla gola è complicato. È uno dei motivi che frenano la decisione di prendersi il rischio di “metter su famiglia”. Dovrebbe essere un interesse di tutti mettere le persone nelle condizioni di mettere al generare il figlio che si vuole: è un gesto di amore personale e di coppia, ma anche una questione sociale ed economica».





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