L’immaginario storico che circonda la Chiesa è fatto anche della percezione del perpetuarsi, sempre uguali a sé stessi, di riti millenari. Anche il Conclave, con la sua ritualità solenne e colorata di bianco e rosso, da un certo momento in poi, nel suggestivo scenario della Cappella sistina con il Giudizio universale quasi a far da monito, a ricordare la responsabilità del compito, si immagina appartenga a un passato immutato e immutabile ma non è esattamente così o almeno è così solo in parte.
La sua vicenda storica, come ricostruiscono dettagliatamente in Conclave: Continuità e mutamenti dal Medioevo ad oggi, Agostino Paravicini Bagliani e Maria Antonietta Visceglia, è infatti intessuta di un costante equilibrio ricercato tra tradizione ed evoluzione, tra continuità e innovazione.
Come scrive Ambrogio M. Piazzoni, nel saggio Le elezioni pontificie, cenni storici e spunti di riflessione: «La scelta del vescovo di Roma è il più antico esempio oggi ancora in vita di un istituto elettorale che, pur con notevoli modifiche nel corso della sua lunga storia, origina quella monarchia elettiva che è il papato, che dura da quasi venti secoli ed è la più vetusta delle istituzioni esistenti avviandosi a superare i primati di durata della serie delle dinastie dei faraoni egiziani e degli imperatori cinesi».
Una longevità che ha reso necessari frequenti aggiustamenti.
CONCLAVE, UNA CHIAVE NEL NOME MA NON quella di san pietro
Il nome conclave, dal latino “cum clave”, significa “a chiave” e allude non alla chiave simbolo di San Pietro, che ricorre negli stemmi dei Papi, come anche si potrebbe pensare da profani, ma alla clausura in cui l’elezione del Papa si svolge: il Conclave, alla lettera, che oggi è sotto chiave a tutela della segretezza delle operazioni, è nato invece per assecondare l’esigenza di una elezione rapida. Ma non è sempre stato come oggi lo vediamo: né il Papa è sempre stato eletto dai cardinali nel modo che oggi vediamo.
Se oggi il Papa esce dalla scelta dei cardinali elettori, guidati per chi crede dallo Spirito Santo, espressa attraverso un’elezione a voto segreto con maggioranza dei 2/3, nei primi secoli dell’era cristiana i Papi erano diaconi, il primo Vescovo è arrivato nel IX secolo e a eleggerli per acclamazione erano membri del clero romano, notabili e “popolo” anche se non inteso in senso democratico. Solo dall’XI secolo sono stati i cardinali a eleggere il pontefice, la maggioranza dei 2/3 è stata introdotta a partire dal 1179 anche se ha visto diverse possibili deroghe fino a tempi recenti.
Dal documento fondativo Ubi periculum (1274) a Giovanni Paolo II, una storia di adattamenti
Queste prassi, in parte preesistenti, si sono consolidate a partire dal 1274, anno del decreto Ubi periculum, così nominato dalle sue prime parole come d’uso: gli storici lo considerano il documento fondante del Conclave, è del resto il primo a nominarlo come tale, di un valore paragonabile a una costituzione. Confermava la maggioranza dei 2/3 e il fatto che la scelta spettasse ai soli cardinali, stabiliva che il Papa poteva essere eletto in tre modi (lo scrutinio segreto, tuttora in uso); “per ispirazione” (un’acclamazione unanime); per “compromesso” (una designazione da parte di un gruppo più ristretto). Queste due ultime forme sono scomparse dalla prassi molto prima, ma sono state abolite sulla carta soltanto nel 1996 con la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, emanata da Giovanni Paolo II «Circa la vacanza della sede apostolica e l’elezione del romano Pontefice».
Ed è lì dentro che papa Wojtyla ha messo nero su bianco il fatto che queste regole pur restando nel solco della tradizione debbano adattarsi ai tempi, cosa che hanno fatto lungo tutto il corso della storia. «Indiscusso», scriveva nella premessa, «in verità, appare il principio per cui ai Romani Pontefici compete di definire, adattandolo ai cambiamenti dei tempi, il modo in cui deve avvenire la designazione della persona chiamata ad assumere la successione di Pietro nella Sede Romana».
E ancora: «Ho ritenuto di dover rivedere la forma stessa dell’elezione, tenendo anche qui conto delle attuali esigenze ecclesiali e degli orientamenti della cultura moderna. Così mi è sembrato opportuno non conservare l’elezione per acclamazione quasi ex inspiratione, giudicandola ormai inadatta ad interpretare il pensiero di un collegio elettivo così esteso per numero e tanto diversificato per provenienza. Ugualmente è parso necessario lasciar cadere l’elezione per compromissum, non solo perché di difficile attuazione, come è dimostrato dalla congerie quasi inestricabile di norme emanate in proposito nel passato, ma anche perché di natura tale da comportare una certa deresponsabilizzazione degli elettori i quali, in tale ipotesi, non sarebbero chiamati ad esprimere personalmente il proprio voto. Dopo matura riflessione sono giunto, quindi, nella determinazione di stabilire che l’unica forma in cui gli elettori possono manifestare il loro voto per l’elezione del Romano Pontefice sia quella dello scrutinio segreto, attuato secondo le norme più sotto indicate. Tale forma, infatti, offre le maggiori garanzie di chiarezza, linearità, semplicità, trasparenza e, soprattutto, di effettiva e costruttiva partecipazione di tutti e singoli i Padri Cardinali, chiamati a costituire l’assemblea elettiva del Successore di Pietro».
Un pericolo all’inizio di tutto, il primo conclave della storia
La Ubi periculum cominciava con queste parole perché nasceva in effetti per prevenire il ripetersi di un pericolo, verificatosi alla morte di Clemente IV avvenuta a Viterbo nel 1268: un lungo stallo con sede vacante. Come osserva Alberto Melloni, in Il Conclave e l’elezione del papa. Una storia dal I al XXI secolo, è capitato spesso che una norma sia nata come tale per evitare qualcosa di già avvenuto in passato.
Tra il 1268 e il 1271 i cardinali impiegarono quasi tre anni a trovare convergere su Gregorio X. Fu un accordo “incoraggiato” in molti modi non tutti gentili: prima chiudendo i cardinali a chiave (giustappunto), poi razionando loro il cibo, dopo scoperchiando il tetto per esporli alle intemperie, infine mettendoli a pane e acqua. È stato considerato quello il primo Conclave della storia, anche se già una volta i cardinali erano stati chiusi a chiave, alla morte di Gregorio IX, quando tardavano a eleggere il successore, divisi dalle tensioni tra il papato e l’imperatore Federico II di Svevia.
Quel tetto ovviamente non era quello della Sistina, (che prende il nome da Papa Sisto IV della Rovere – pontefice dal 1471 al 1484 – che fece ristrutturare l’antica Cappella Magna tra il 1477 e il 1480. Anche se utilizzata già prima, è diventata sede stabile del Conclave come prassi dal 1878), ma il palazzo papale di Viterbo. A quell’epoca infatti le elezioni si tenevano nella città in cui era morto il predecessore e nel palazzo in cui risiedeva, a partire dai tre giorni dopo la sepoltura del Papa scomparso, ma non c’erano prescrizioni riguardo alla data d’inizio.
I TEMPI DELL’elezione
È stata l’Ubi periculum a stabilire per la prima volta che il Conclave dovesse attendere i cardinali assenti per un tempo massimo prima di iniziare. Inizialmente erano dieci giorni, oggi con la Universi Dominici sono non meno di 15 e non più di 20 ma con facoltà di anticipare il Conclave se tutti i cardinali elettori sono arrivati a Roma, .
La Ubi periculum è stata messa in discussione e “aggiustata”, tra spinte e controspinte, più volte nel corso dei secoli. La sua introduzione, del resto, era stata accolta con lo sfavore di molti cardinali. Prassi e interventi normativi, spesso instabili, sono intervenuti molte volte nel bisogno di risolvere problemi che si ponevano lungo il corso dei secoli, alcuni dei quali ricorrenti, tra questi il bisogno di evitare che la sede restasse vacante troppo a lungo e la necessità di limitare le ingerenze esterne sull’elezione.
SECOLI DI ingerenze riuscite o tentate
La storia delle elezioni pontificie infatti tra Medioevo ed Età moderna ma ancora in parte fino alla sopravvivenza del potere temporale dei papi è stata anche una storia di intromissioni esterne: «Con il ritorno dei Bizantini in Italia, l’imperatore», scrive Piazzoni, «Giustiniano promulgò un documento di singolare importanza ancheper la storia delle elezioni pontificie. La Prammatica sanzione (554) recuperava infatti antiche pretese che da duecento anni il potere laico cercava di rendere stabili: erano concessi importanti privilegi al papa, cui veniva attribuita una sorta di sovrintendenza che ne aumentava l’autorità davanti ai funzionari statali; ma proprio a causa dei nuovi poteri civili attribuiti al pontefice, lo stesso decreto prevedeva che la sua elezione dovesse venir confermata dall’imperatore per essere valida e perché si procedesse alla sua ordinazione».
Con la rinascita del Sacro romano impero nel 962 il Privilegio Ottoniano intervenne a regolare l’elezione definendola “libera” ma richiedeva che il Papa avesse l’approvazione imperiale e giurasse fedeltà all’imperatore. Di lì la storia degli interventi normativi per l’elezione del Papa (una storia accidentata che ha attraversato la cosiddetta “cattività” avignonese e lo scisma d’Occidente che per quasi 40 anni vide papi e “antipapi” a contendersi il soglio) è stata anche uno sforzo per liberarla dall’ingombrante tutela del potere politico secolare, oltreché da altri rischi di interferenze non ultima quella economica.
Le innovazioni più importanti tra Medioevo ed Età moderna
Tra gli interventi che hanno lasciato il segno ci sono quello di Bonifacio VIII (al soglio tra il 1294 e il 1303) il papa criticatissimo da Dante, che inserì la Ubi periculum nel Corpus iuris canonici rendendo stabile, pur con deroghe e oscillazioni nei secoli, il principio dell’elezione in clausura.
Giulio II (papa tra il 1503 e il 1513) che ribadì il divieto di elezione simoniaca, ossia ottenuta attraverso la compravendita di bene ecclesiastici, in senso laico oggi lo chiameremmo voto di scambio e la equiparò all’eresia.
Pio IV (papa tra l 1559 al 1565) ribadì il divieto per il papa regnante di designare un successore, secondo una pratica che nei secoli era stata attestata. La disciplina dello scrutinio e le modalità di elezione sono state invece codificate con precisione da Gregorio XV che con la bolla Aeterni patris «introdusse un’importante novità: il voto per l’elezione doveva essere espresso in segreto. Oltre a confermare la necessità della maggioranza dei due terzi e a chiarire bene che l’elezione poteva avvenire soltanto dopo la chiusura del Conclave. Prese in esame e regolò anche le altre possibili procedure elettorali indicate da Pio IV sessant’anni prima» (Piazzoni).
Le riforme contemporanee
La segretezza del voto non è bastata a far cessare i tentativi di ingerenza che restarono molti anche tra XVII e il XIX secolo: «L’ultimo Conclave nel quale venne esercitato il preteso diritto di “esclusiva” da parte di un governo cattolico», sempre secondo la ricostruzione di Piazzoni, «fu nel 1903; tuttavia il veto presentato dall’Austria non solo non venne ascoltato ma provocò risentite e indignate proteste e, qualche mese più tardi, anche la sua formale abolizione. Fu eletto Pio X che meno di sei mesi più tardi, il 20 gennaio 1904, pubblicò la costituzione Commissum nobis, nella quale venne con vigore proibito il preteso diritto di esclusiva da parte delle potenze cattoliche «anche sotto forma di semplice desiderio, così come interventi o intercessioni in qualsiasi forma» espressi e si previde, per i cardinali che avessero manifestato ai colleghi un veto da parte di autorità laiche, la scomunica latae sententiae (cioè immediata e automatica) il cui scioglimento era riservato al futuro pontefice».
A fissare invece a 80 anni il limite di età oltre il quale un cardinale non fosse più elettore ha provveduto Paolo VI nel 1970 con l’Ingravescentem aetatem. La Cappella sistina tale già di prassi dal 1878 è diventata sede del Conclave per legge nel 1996 da Giovanni Paolo II, nello stesso contesto è stato stabilito che durante il Conclave i cardinali risiedono a Santa Marta. Benché non fossero più in uso da tre secoli o più, sono stati solo in quel momento aboliti formalmente i metodi di elezione diversi dal voto segreto. La deroga alla maggioranza dei 2/3 che Giovanni Paolo II a partire dal 34° scrutinio aveva introdotto è stata, invece, poi revocata da Benedetto XVI che con i motu proprio Constitutione Apostolica Universi dell’11 giugno 2007e Normas nonnullas del 22 febbraio 2013, ha ribadito la necessità dei 2/3.
Segretezza oggi: dalla chiusura a chiave alla disattivazione del segnale radiomobile
Il concetto anche tecnologico di segretezza e clausura è quello che più richiede di stare al passo con i tempi. Sono ormai lontani quelli per cui all’extra omnes bastava chiudere porte e finestre, come dimostra il messaggio inviato dall’ufficio di Presidenza del Governatorato a tutti i dipendenti vaticani il 5 maggio 2025: «Con riferimento alle prescrizioni normative e di sicurezza inerenti alle attività relative all’elezione del Sommo Pontefice, informa che, a partire dalle ore 15:00 del 7 maggio p.v., tutti gli impianti di trasmissione del segnale di telecomunicazione per cellulare radiomobile, presenti nel territorio dello Stato della Città del Vaticano, esclusa l’area di Castel Gandolfo, saranno disattivati. Il ripristino del segnale sarà effettuato successivamente all’annuncio dell’avvenuta elezione del Sommo Pontefice, pronunciato dalla Loggia centrale della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, con la massima celerità consentita dalla tecnologia degli operatori mobili».
Sarà, del resto, la storia della comunicazione a stabilire a tempo debito se il post del presidente Donald Trump, vestito da papa con l’intelligenza artificiale, uscito sui canali ufficiali della Casa bianca, andrà letto come un maldestro tentativo di ingerenza politica contemporaneo o soltanto come un’infelice esibizione di cattivo gusto.