A rappresentare Papa Francesco, il 19 settembre, tra gli oltre 100 capi di Stato e centinaia di rappresentanti diplomatici che il 19 settembre 2021 andranno a rendere l’ultimo saluto con i funerali di Stato a Elisabetta II, la più longeva e rappresentativa sovrana della storia del Regno Unito, ci sarà monsignor Paul Richard Gallagher.
Dall’8 novembre 2014 è “ministro degli Esteri” della Santa Sede. «Benedetto XVI», come ha scritto al momento della nomina Alberto Chiara su Famiglia Cristiana, «l’aveva nominato nunzio apostolico all’altro capo del mondo, in Australia. Papa Francesco l’ha voluto a Roma».
Inglese, classe 1964, monsignor Paul Richard Gallagher è nato a Liverpool, nello stesso quartiere dove i Beatles hanno cominciato a suonare. Ordinato sacerdote a 23 anni, è stato consacrato vescovo nel 2004. Monsignor Gallagher ha svolto il suo servizio in tutti i continenti. Ha, infatti, lavorato presso le nunziature di Tanzania, Uruguay e Filippine.
Ha prestato poi servizio nella sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Nel 2000 è stato nominato osservatore permanente presso il Consiglio d’Europa di Strasburgo, nel 2004 nunzio in Burundi, nel 2009 in Guatemala (dove Jorge Mario Bergoglio ha avuto modo di conoscerlo personalmente e di apprezzarlo) e nel 2012 in Australia. Quello di Segretario dei rapporti con gli Stati è un posto-chiave: è, infatti, uno dei due vice del Segretario di Stato – l’altro è il Sostituto per gli affari interni – e deve gestire i dossier più delicati nei rapporti internazionali.
Nei primi giorni del nuovo incarico aveva affidato ai microfoni di Radio Vaticana questa testimonianza: «Mi hanno molto ispirato le tante persone con cui ho lavorato, i nunzi che ho servito negli anni passati… Ovviamente, quando poi sono andato in Burundi, nel 2004, sono succeduto all’arcivescovo Michael Courtney, che era stato assassinato. Succedere a un uomo che aveva compiuto il sacrificio supremo è stato davvero molto importante. Sono anche stato molto incoraggiato da tante delle persone con cui ho lavorato in Segreteria di Stato. Incontri, occasionalmente, anche con dei “carrieristi”, ma devo dire che la maggior parte delle persone con cui ho lavorato aveva motivazioni veramente molto alte. Ecco perché sono sempre convinto che sia un ministero e un contributo molto valido. Non sono proprio sicuro che fare il diplomatico pontificio sia una vocazione, perché credo ci si debba impegnare molto a preservare gelosamente la vocazione sacerdotale in mezzo a tutto questo, se vuoi fare qualcosa di veramente positivo. Certamente, però, è una chiamata all’interno della Chiesa che penso sia ancora molto valida e possa dare un grande contributo alla Chiesa in termini di comunicazione e di rappresentanza, perché “spiega” le Chiese locali a Roma e Roma alle Chiese locali».
Nel maggio scorso è stato in missione in Ucraina.