Alla plenaria straordinaria al Palazzo di Vetro di New York, l’arcivescovo osservatore della Santa Sede ricorda la figura del Papa: l’esempio del buon samaritano vinca sulla globalizzazione dell’indifferenza
Daniele Piccini – Città del Vaticano
“Il modo migliore per commemorare Papa Francesco oggi è prendere in mano la torcia della speranza e riscoprire lo spirito che, ottant’anni fa, portò alla creazione di questa organizzazione, le Nazioni Unite, in modo che possiamo tutti lavorare ad un mondo migliore per le generazioni che verranno dopo di noi”. Sono le parole conclusive che l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ha rivolto ieri, 29 aprile, all’assemblea generale riunita a New York in sessione plenaria straordinaria per ricordare la figura del Pontefice scomparso lo scorso lunedì di Pasqua.
Un tributo che ha coronato la partecipazione del segretario generale dell’Onu, António Guterres, ai funerali di Francesco, lo scorso sabato 26 aprile, e la decisione di issare a mezz’asta la bandiera blu in tutti gli uffici principali, sempre martedì scorso.
Il discorso di Francesco all’Onu
Monsignor Caccia ha evocato tre immagini di Francesco. Nella prima istantanea, idealmente scattata il 25 settembre 2015, il Papa parlava proprio dal podio dell’assemblea generale Onu, che si apprestava ad adottare il suo piano quindicennale. Un programma che, ha ricordato monsignor Caccia, Francesco definiva “un importante segno di speranza” invitando i leader mondiali a prendersi cura del “fondamento dello sviluppo umano integrale”, “che è il diritto alla vita”.
Una voce comune di speranza
La seconda immagine ideale è una “foto di coppia”. Era il 2019 e Francesco riceveva in Vaticano il segretario generale Guterres, un anno prima che l’Onu celebrasse il suo 75.mo anniversario di fondazione. Monsignor Caccia ha ricordato all’assemblea la dichiarazione comune rilasciata dal Papa e da Guterres “in un modo mai visto prima” attraverso un videomessaggio, in cui invitavano il mondo a non girarsi “dall’altra parte di fronte alle ingiustizie, alle disuguaglianze, allo scandalo della fame nel mondo, della povertà, dei bambini che muoiono perché non hanno acqua, cibo, le cure necessarie”. “Ricordarono – ha detto monsignor Caccia – la piaga di tutti gli sfollati e di quelli che lasciano il loro paese in cerca di una vita migliore”. Inoltre, ha aggiunto il rappresentante vaticano, dichiararono insieme che la corsa agli armamenti e al riarmo nucleare “grida vendetta al cospetto di Dio”.
La peggiore delle pandemie
La terza immagine di Papa Francesco, evocata da monsignor Caccia all’assemblea dell’Onu, è una “foto ideale” di disperata solitudine. Si tratta dello Statio Orbis, “la preghiera per il mondo intero – che Francesco presiedette il 27 marzo del 2020, durante la pandemia di covid-19, in una piazza San Pietro buia e deserta”. “In quel momento – ha commentato il presule – tutto il mondo capì che siamo inesorabilmente connessi ed interdipendenti. Il coronavirus colpiva ricchi e poveri, paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo”. Ma, già all’inizio del suo Pontificato, ha spiegato l’osservatore permanente, Francesco ammoniva che in realtà la peggiore pandemia è quella morale, che lui definiva “la globalizzazione dell’indifferenza”. “Essa – ha detto Caccia – ci anestetizza e, paradossalmente, proprio quando qualcuno ha bisogno del nostro aiuto, noi prendiamo le distanze”.
L’unico rimedio all’indifferenza
Di tutto questo Francesco mostrava l’antidoto nel 2020 con la sua Lettera enciclica Fratelli tutti. È la figura evangelica del “buon samaritano” che non volta la testa dall’altra parte, ma “si prende cura del ferito ed abbandonato all’angolo della strada”. Perché, ha concluso monsignor Caccia citando Papa Francesco, “non c’è alternativa” all’aver “fiducia nella parte migliore dello spirito umano”.