Andrea Riccardi: «Ai cattolici serve una visione di lungo periodo»

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«Io penso che la Chiesa e i cattolici rappresentino molto nella realtà sociale del Paese», premette lo  storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità Sant’Egidio, già ministro della Cooperazione  internazionale nel governo Monti. «Nei momenti di crisi hanno facilitato la coesione sociale, la tenuta del  tessuto lacerato del nostro Paese, tenendo insieme realtà diverse, da Nord a Sud. Però mi chiedo che  voce abbiano questo cattolicesimo e questa Chiesa a livello politico e culturale. Questo interrogativo noi  dobbiamo porcelo non tanto in questa fase concitata della campagna elettorale, che ha toni alti, spesso  rivelatori dell’assenza di cultura politica e di governo delle nostre forze partitiche. Perché più si alzano i  toni e più si vede il vuoto».

E allora quando dovremmo porcelo?

«Dobbiamo porci il dilemma della rilevanza della Chiesa e dei cattolici  sul lungo e medio periodo, non sulla congiuntura elettorale. A questo proposito c’è il problema  della cultura  sociale e politica del nostro Paese. Con la fine della Prima Repubblica si è approfondito il divario tra cultura e  politica per l’alleanza tra cultura e tv e tra cultura e social. Senza cultura non si partecipa, non si capisce  il nostro tempo così complesso, non si ha una visione del futuro, che non è solo l’identificazione con un  leader di partito. Voglio dire anche cultura popolare. Come fanno ad esempio media quali Famiglia Cristiana e Avvenire. Non basta parlare di dottrina sociale della Chiesa».

Non si  tratta di politica però…

«Nella storia italiana tutto questo si è espresso attraverso un partito di ispirazione  cristiana, la Dc, poi, dopo la fine della prima Repubblica, con quello che è stato chiamato ruinismo  (termine inserito nel Vocabolario Treccani). Oggi deve trovare nuove espressioni adeguate, anche perché  non si tratta di formule, ma di un cristianesimo che guardi all’Italia in Europa e nel mondo».

C’è chi dice  che all’indomani delle elezioni si presenterà una situazione simile al 2011, con un governo di emergenza  in mezzo a una crisi molto pesante e in cui i cattolici avranno grosse responsabilità.

«Essere andati a  elezioni anticipate non è stato un grande gesto di responsabilità in un contesto fatto di una gravissima  crisi energetica e una guerra alle porte di casa. Avevamo bisogno di un governo Draghi almeno per uscire  da quest’inverno e intraprendere con Macron e Scholz un’azione politica europea sulla questione ucraina.  Ma ormai è fatta e far parlare il popolo non è mai inopportuno. Qualcosa uscirà da queste elezioni. Ma  sarebbe un controsenso fare a meno di un governo Draghi per arrivare a un altro governo Draghi».

I sondaggi dicono che una grossa componente di cattolici nelle ultime consultazioni si è astenuta. C’è un  senso di smarrimento che li pervade.

«Oltre al divorzio tra cultura e politica c’è anche un certo divorzio tra cattolicesimo e politica (e elezioni). Per tanti aspetti l’astensione nasce dal fatto che molti tra i cattolici  che si astengono non vogliono votare a destra. Sul tema migranti, per esempio, non condividono le idee  della destra. Una convinzione che non parte solo dalla carità e dal senso di giustizia dei cattolici, ma  anche da una visione del Paese: i migranti hanno bisogno di approdare a una patria ma questa patria ha  bisogno dei migranti per problemi economici e demografici. Questo i vescovi lo sanno. Dall’altra parte i  cattolici si astengono anche a sinistra per il loro “radicalismo”, nel senso pannelliano, tutto impostato sui  diritti individuali, come il gender, meno sui temi dei diritti sociali o della famiglia. Non si può dire che i  cattolici si ritrovano nel centro: questo centro non c’entra molto con loro. Il centro dovrebbe essere moderato e qui mi pare che sia molto agitato e dunque si va verso l’astensione. Lo stesso cardinale Zuppi, neo presidente della Cei, sottolinea l’importanza che tutti votino».

L’astensione è una domanda di  qualcosa di diverso in politica?

«Me lo sono chiesto molte volte. Manca una rappresentanza politica che  abbia una visione del Paese, come avveniva nella Dc. Ma il ritorno della Dc non è possibile. Già Dossetti  diceva che la Dc è un punto perduto sideralmente nello spazio. Per tanti motivi. Per questo direi che  bisogna votare, spesso turandosi il naso o per il meno peggio, ma lavorare perché il mondo dei cattolici  ritrovi parola, pensiero e capacità d’interagire».

 

 

 





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