Cari amici lettori,
qualche giorno fa, durante una trasmissione televisiva a cui vado a parlare, la conduttrice mi ha chiesto inaspettatamente, mentre si discuteva di consumismo e Black Friday, se ero a favore o contro le luminarie che vediamo in giro in questo periodo di Avvento. Ho risposto che non ho nulla contro le luminarie, anzi mi piacciono, ma ho espresso un dubbio sul fatto che esse evochino davvero il mistero del Natale nel cuore delle persone.
Mi è tornata in mente la recente ricerca del Censis, Italiani, fede e Chiesa, commissionata dalla Chiesa italiana per il Cammino sinodale. Il succo:
«La zona grigia nella Chiesa di oggi [quella fatta di cattolici “distanti”, che non si riconosce nella Chiesa, ndr] è il risultato dell’individualismo imperante, certo, ma anche di una Chiesa che fatica ad indicare un “oltre”».
Il «bisogno di un oltre», di un orizzonte più alto, è l’attesa inespressa di tanti, che oggi spesso fatica a trovare risposte.
Mi è anche tornato in mente, per contrasto, l’incontro organizzato dal Pime di Milano lo scorso 3 dicembre, memoria di san Francesco Saverio, “Giovani e fede nella Grande Cina oggi”, con le testimonianze di quattro giovani cinesi e un prete missionario a Taiwan.
In un periodo che vede la frenesia di correre senza orizzonti grandi, è stato bellissimo sentire raccontare, di fronte a un uditorio attento e ricettivo, queste esperienze di fede:
- di chi l’ha trovata venendo da una famiglia non credente,
- di chi l’ha approfondita avendola ricevuta in famiglia e nella comunità cristiana e poi ha trovato la sua strada in percorsi diversi, dalla consacrazione alla vita laica nel mondo.
Di tutte le testimonianze colpiva l’intensa ricerca interiore di senso alla propria vita, in una società come quella cinese i cui valori sono produttività e successo;
il confronto, graduale ma profondo, con la fede cristiana, alla luce della Parola di Dio, in dialogo anche con fratelli e sorelle sulla propria strada, con sacerdoti, con la disponibilità a lasciarsi guidare ma anche con una grande vivacità delle domande.
Segno che la fede cristiana ha ancora molto da dire e da dare, come testimonia chi viene da contesti, come quello cinese, “difficili”.
Mi sono portato a casa quelle testimonianze di vite illuminate, direi trasfigurate dalla fede, i loro volti sorridenti e sereni, che mi hanno scaldato il cuore.
E questo ci porta a un’altra riflessione, che va fatta nei nostri ambienti ecclesiali:
l’intreccio tra vita e fede.
Una teologa, Assunta Steccanella, così si esprimeva qualche giorno fa su Avvenire, riflettendo sulla situazione attuale della catechesi:
è fondamentale che negli incontri con gli adulti, oltre che con i bambini,
«si faccia percepire che la fede ha un intreccio fortissimo con la vita» e si faccia «comprendere che c’è una bontà nel percorso che va a rendere migliore, a dare un senso alla loro esistenza quotidiana».
La fede può rendere bella la mia, la tua vita:
non è questione di aggiungere un impegno in più ai tanti che già abbiamo.
Lo aveva colto bene l’Apostolo Paolo in una frase lapidaria che ci ricorda il senso del Natale e dell’incarnazione:
«Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Corinzi 8,9).