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Santalucia: “Una magistratura indipendente è tutela dei cittadini”

«Abbiamo il dovere di conservare integra la serenità nello svolgimento dei nostri compiti. Pur sapendo che, recandoci in ufficio, accomodandoci alla scrivania, il provvedimento che ci toccherà assumere, secondo linee consolidate dalla giurisprudenza, ci consegnerà sia al pericolo di essere additati come magistrati comunisti, termini che si carica di un significato spregiativo ben oltre i confini della sua naturale semantica, e nemici del popolo, sia al pericolo di veder violata la nostra sfera di riservatezza con la pubblicazione di fotografie attinenti a momenti di vita privata e con notizie sulle nostre relazioni affettive». Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, apre il direttivo dell’Anm chiedendo di «non cedere alla stanchezza», e di continuare a operare a servizio dei cittadini e del Paese. Rispondendo alle domande dei giornalisti il magistrato precisa che «al di là dei singoli magistrati, sotto attacco è la funzione che esercitano. Non vorremmo che il discorso sulla doverosa imparzialità e anche sulla doverosa apparenza di imparzialità diventi il pretesto per zittire i magistrati che non possono più neppure partecipare a un convegno o a una riunione pubblica in cui magari esprimono una critica alle politiche governative. Non si può chiedere, in nome dell’imparzialità, il silenzio. Il magistrato può, sui temi di giustizia, intervenire».

E, sul dovere di imparzialità aggiunge che essa «è una prerogativa a difesa dei cittadini, noi la pratichiamo costantemente, ma la pratichiamo chiedendo anche che i nostri diritti fondamentali di cittadini sia possibile esercitarli con quel riserbo, con la compostezza che sono propri della funzione, come hanno detto in più volte alcune sentenze della Corte Costituzionale. Si sta, secondo me, oltrepassando il confine del possibile. Una cosa è l’imparzialità, un’altra la soggezione silenziosa al governo. Non è nella cifra della nostra fisionomia costituzionale e democratica». Peraltro, aggiunge avendo sempre presente l’interesse dei cittadini a una giustizia più efficiente e rapida, «dobbiamo anche dire che la riforma non affronta nessuno dei problemi della giustizia. Non si affronta il problema dei servizi della giustizia, del miglioramento della qualità e della quantità. Interviene invece sul versante della giustizia come potere dello Stato. Non si occupa della giustizia come servizio ai cittadini, ma come potere nella sua relazione con gli altri poteri dello Stato. È una questione che può avere ricadute sulla vita dei cittadini nel senso peggiore, che mi auguro che non avvenga, di avere un magistrato meno forte, meno indipendente, meno autonomo, perché quello sì, segnerebbe uno scadimento nella qualità della risposta».

Sugli attacchi di Elon Musk chiarisce che «le critiche sono sempre ben accette da qualunque parte provengano, ma una cosa sono le critiche e l’invettiva. Dire ai magistrati che se ne devono andare non è una critica, ma è un insulto e su questo ha già risposto il Presidente della Repubblica». Aggiunge solo che «era già un personaggio assolutamente influente, mi chiedo se un messaggio di quel tipo, che mi pare abbia avuto tantissimi follower, non getti una luce abbastanza negativa sul Paese, chi non sa, chi non conosce le vicende, tra i tantissimi che hanno letto, possono pensare che l’Italia sia un Paese da evitare, questo è un danno al Paese enorme, che va bene al di là della querelle con la magistratura». Non solo, il commento di Musk che dice che i magistrati non possono parlare perché non sono stati eletti «fa strada sempre più a un’idea di democrazia che è diversa da quella a cui ci siamo formati. Si fa strada l’idea che solo l’eletto può esercitare la sovranità che appartiene al popolo. Nel nostro sistema costituzionale, invece, la sovranità si divide in più centri istituzionali. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e con i limiti della Costituzione. E anche la giurisdizione è un limite, una forma con cui si esercita la sovranità anche se non è eletta dal popolo».

Tornano le polemiche sulla partecipazione alle manifestazioni sul no al ponte di Messina, alle presenze in tv, ma, chiarisce Santalucia, «lo spazio di intervento lo abbiamo tracciato noi, forti della giurisprudenza costituzionale e dei moniti della Presidenza della Repubblica nel nostro congresso. Questo spazio dice che occorre «parlare se e quando la parola di un magistrato può avere un senso. Ovviamente non possiamo parlare di tutto a vanvera, ma delle questioni che interessano la giustizia abbiamo diritto a parlarne e parlarne con un modo consono all’esercizio della nostra professione, che è l’argomento giuridico, che è la spiegazione, che è appunto il discorso articolato. Non il like, l’invettiva, la frase assertiva che si lancia sui social. Se nemmeno questo si può fare per il clima che si sta creando credo che significhi che si stia raggiungendo una soglia di inaccettabilità preoccupante».

Il presidente dell’Anm non ci sta nemmeno all’uso del nome di Giovanni Falcone per la riforma che «non è di Giovanni Falcone, che, purtroppo, è venuto a mancare nel 1992. Questa riforma matura in tutt’altro contesto. Sarebbe bene che quanti partecipano al dibattito doverosamente allargato sulla riforma costituzionale si astengano, una volta che scoprono di essere privi di buoni argomenti per sostenerla, dal discutibile espediente di usare il nome e la figura di Giovanni Falcone per elevare il tono, la qualità e i contenuti della riforma. La memoria di un eroe, di un martire della Repubblica, va onorata astenendosi da usare il suo nome nel confronto, a volte anche acceso, su una riforma che matura a oltre 30 anni dal suo estremo sacrificio. Questa riforma, se e quando sarà varata, non potrà portare il nome di Giovanni Falcone. Non gli appartiene, non potrebbe appartenergli. Appartiene ad altri. Almeno questo sia concesso alla verità dei fatti e sia sottratto alla mistificante opera della propaganda».





Dal sito Famiglia Cristiana

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