Dopo la sentenza senza precedenti della Corte costituzionale, che ha cancellato l’esito del primo turno delle elezioni presidenziali vinto dal candidato dell’estrema destra Calin Georgescu, il Paese dell’Europa orientale riprova ad eleggere il capo dello Stato. Grande favorito nei sondaggi il sovranista George Simion, ma per avere un nuovo presidente con tutta probabilità sarà necessario il ballottaggio di metà maggio
Valerio Palombaro – Città del Vaticano
Urne aperte in Romania domani, domenica 4 maggio, per quello che si profila come il voto più importante dal crollo del comunismo nel 1989. I grandi partiti tradizionali — su tutti liberali e socialdemocratici, che da dicembre formano la nuova coalizione di governo — provano ad arginare l’ascesa dell’estrema destra, ma il grande favorito per diventare presidente rimane il 38enne George Simion.
Si riparte da zero dopo l’annullamento del voto di novembre
Il candidato dell’Alleanza per l’unione dei romeni (Aur) ha preso il testimone delle forze anti-establishment da Călin Georgescu, il candidato dell’estrema destra che sovvertendo tutti i sondaggi della vigilia aveva vinto il primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso 24 novembre poi annullate da una sentenza senza precedenti della Corte costituzionale di Bucarest. I giudici — sulla scorta di alcuni rapporti presentati dal Consiglio di sicurezza nazionale, poi desecretati dal presidente uscente Klaus Iohannis — hanno rilevato l’esistenza di uno schema, ordito presumibilmente dall’estero, per influenzare il voto romeno favorendo per l’appunto Georgescu. Uno scenario tale da far ripartire da zero il processo elettorale, tanto più in considerazione delle simpatie esplicitate da Georgescu nei confronti della Russia di Putin e del delicato momento storico che sta vivendo la Romania a causa della guerra in Ucraina: oltre a condividere più di 500 km di confine terrestre con il Paese martoriato dal conflitto, più di una volta missili e droni russi sono arrivati fino al territorio romeno, in particolare nel delta del Danubio, mentre frequenti sono anche le minacce alla sicurezza nel Mar Nero.
La sfida tra partiti filo-europei e forze anti-establishment
Escluso Georgescu dalla nuova corsa alla presidenza, gli ultimi sondaggi in vista del voto di domani danno nettamente in testa Simion con circa il 30 per cento delle preferenze. Altamente probabile, in ogni caso, un turno di ballottaggio il 18 maggio, dove potrebbero arrivare il candidato congiunto scelto dalla coalizione governativa, il liberale Crin Antonescu, o l’indipendente Nicusor Dan, sindaco di Bucarest, entrambi dati intorno al 20 per cento. Più staccato Victor Ponta, ex premier socialdemocratico che si presenta da indipendente, dato all’11 per cento; mentre si registra un netto calo al 6 per cento per Elena Lasconi, esponente del centrodestra, che nella tornata elettorale di fine 2024, poi annullata, sarebbe dovuta andare al ballottaggio con Georgescu.
Probabile ballottaggio il 18 maggio
«Il popolo della Romania ha vissuto la bugia che siamo un Paese democratico», ha accusato Simion in campagna elettorale, cercando di sfruttare la rabbia dei cittadini delusi per l’esclusione di Georgescu. Il leader dell’Aur — partito che alle elezioni legislative dello scorso dicembre ha ottenuto il 18 per cento dei voti, giungendo secondo dietro i socialdemocratici — è noto per le posizioni euro-scettiche e critiche nei confronti della Nato. Negli ultimi mesi ha saldato legami molto forti con il movimento statunitense Maga (Make America Great Again).
Molti analisti evidenziano che una vittoria di Simion potrebbe contribuire a irrobustire l’asse dei Paesi dell’Europa orientale non del tutto allineati all’Ue e alla Nato, oggi rappresentato dai governi di Ungheria e Slovacchia. Il governo di Bucarest è stato recentemente formato dai partiti filo-europei, ma nel nuovo Parlamento le forze di estrema destra contano circa il 30 per cento. Se Simion può dunque contare su consensi in rapida ascesa, al probabile ballottaggio presidenziale del 18 maggio lo scenario potrebbe cambiare tanto più i partiti filo-europei sapranno far valere la carta dell’unità.