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Papa Francesco e il ritorno alle sorgenti del Concilio

In un libro di Stefania Falasca le coordinate del pontificato nell’alveo del Vaticano II

Andrea Tornielli

Nel corso dei suoi dodici anni di pontificato, come a volte qualcuno ha notato, Papa Francesco è sembrato parlare meno del Concilio Ecumenico Vaticano II rispetto ai suoi immediati predecessori. E questo non per qualche forma di dimenticanza, ma semplicemente perché l’ultimo Concilio è stato, insieme, l’insostituibile bussola per orientarsi e al contempo l’alveo naturale dentro cui far fluire il magistero del Successore di Pietro venuto «quasi dalla fine del mondo». Se i Papi precedenti, da Paolo VI a Benedetto XVI, avevano vissuto in prima persona i lavori dell’assise e avevano dovuto governare la non facile transizione negli anni turbolenti della contestazione, dovendo innanzitutto spiegare e successivamente anche difendere il Concilio, Francesco è stato il primo dei Vescovi di Roma ad aver interamente vissuto la sua vita sacerdotale ed episcopale in epoca conciliare.

Ritrovare le coordinate di fondo del suo magistero, e il loro legame con le sorgenti del Concilio, è quanto ha fatto con un percorso limpido e profondo Stefania Falasca – firma autorevole di Avvenire e notista di lungo corso, che ha conosciuto Jorge Mario Bergoglio fin dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires – nel libro “Francesco. La via maestra” (Edizioni San Paolo). Un volume prezioso per cogliere le linee portanti dell’insegnamento di Francesco sulla rotta conciliare: la risalita alle fonti del Vangelo, una rinnovata missionarietà, la sinodalità come stile e forma costitutiva della Chiesa e della sua comunione, il servizio nella povertà e il dialogo con la contemporaneità, la ricerca dell’unità con i fratelli cristiani, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace.
Il puntuale lavoro di Falasca fa innanzitutto comprendere, grazie anche a un’intervista che l’autrice fece all’allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires ad Aparecida nel 2007, in occasione della Conferenza dell’episcopato latinoamericano, quali fosse la visione ecclesiale del futuro Vescovo di Roma. Il cardinale Bergoglio contribuì alla redazione del documento finale dove emerge un approccio pastorale centrato su una Chiesa missionaria, povera per i poveri, aperta alla misericordia e pronta a uscire da sé per incontrare l’altro. Tutti temi che costituiranno il filo rosso del pontificato.

Dalle pagine del volume emerge dunque con chiarezza quale sia stata la bussola di Papa Francesco. «Non sono io – aveva affermato il Papa nell’intervista con Falasca per «Avvenire» nel novembre 2016 – Questo è il cammino dal Concilio che va avanti, che s’intensifica. Io seguo la Chiesa. Non ho dato nessuna accelerazione. Nella misura in cui andiamo avanti, il cammino sembra andare più veloce». La sequela del magistero conciliare e la sua piena applicazione, sono state vissute dal Pontefice come un percorso naturale: «Io seguo la Chiesa». Sono parole, nella loro semplicità, rivelatrici del suo sguardo sulla natura della Chiesa e sul ministero di Pietro.

Attraverso otto “vie maestre” del Concilio e altrettanti capitoli di approfondimento, Falasca inserisce i gesti, le parole, gli insegnamenti del Papa argentino nella scia delle costituzioni conciliari Lumen Gentium e Gaudium et Spes, fino a risalire all’Evangelii nuntiandi di Paolo VI e al già citato documento di Aparecida, base della prima esortazione apostolica di Francesco, l’Evangelii gaudium (2013). Per Francesco, spiega l’autrice del libro, seguire la Chiesa nel solco della Tradizione che dal Concilio va avanti «ha significato riprendere tout court e portare avanti il lascito del Vaticano II che “è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea”». Ha significato «riscoprire la natura costitutiva della Chiesa, la “medicina della misericordia”, e richiamare a una conversione missionaria di tutto il popolo di Dio nella sinodalità e nel servizio ai poveri». Ha significato «percorrere la via su cui la Chiesa è chiamata a camminare: il dialogo. Percorrere quindi una prospettiva ecclesiale ed ecclesiologica, perché quando si dice dialogo, nella Chiesa, si dice colloquium salutis, ovvero la fedeltà a Cristo nell’Ecclesiam suam, come descritto nell’enciclica di Paolo VI, che indica “per quali vie la Chiesa debba oggi adempire al suo mandato”».

Ha significato portare avanti il dovere dell’ecumenismo: «Da quando è stato promulgato il decreto conciliare Unitatis redintegratio, più di cinquant’anni fa, e si è riscoperta la fratellanza cristiana basata sull’unico battesimo e sulla stessa fede in Cristo, il cammino sulla strada della ricerca dell’unità è andato avanti a piccoli e grandi passi e ha dato i suoi frutti. Continuo a seguire questi passi», ha detto Francesco. Ha significato riprendere e proseguire nella prospettiva della Nostra aetate, la «dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane», e portare avanti la fraternità universale descritta dal Concilio. Ha significato pure portare avanti alla lettera il dialogo con le altre religioni e considerarle al servizio della fraternità universale per la pace nel mondo. Ha significato, infine, per il primo Papa ad assumere il nome del Santo di Assisi, il Santo della pace, «agire incessantemente per la ricerca della pace sul modello di Cristo», scrive Falasca, usque ad finem, fino alla fine, fino all’ultimo istante. «Così – afferma l’autrice del libro – ha portato avanti le vie indelebili per le quali la Chiesa adempie oggi il suo mandato, le vie di un magistero che sulla rotta del Concilio nel solco della Tradizione ha segnato il nostro tempo».



Dal sito Vatican News

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