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Giubileo della disabilità, l’abbraccio dei volontari: abbattere i pregiudizi


La testimonianza di chi si dedica quotidianamente ad aiutare le persone diversamente abili: “Prima di abbattere le barriere architettoniche, bisogna abbattere le barriere mentali”. Il ricordo di Papa Francesco e l’insegnamento trasmesso dal suo “magistero della fragilità”

Isabella Piro – Città del Vaticano 

C’è una linea sottile che separa l’essere e il poter essere, il fare e il poter fare. Una linea sottile racchiusa da tre sole lettere: Dis, il prefisso che trasforma l’abilità in disabilità. Il Giubileo delle persone disabili, in programma il 28 e il 29 aprile, ha un compito particolarissimo: convertire quella linea di separazione in linea di unione, di comunione, di integrazione. Un ponte, insomma – per usare un termine molto caro a Papa Francesco, scomparso una settimana fa – che aiuti a creare legami tra chi vive una vita così detta “normale” e chi, invece, ogni giorno deve affrontare una sfida, con sé stesso e con la realtà circostante.

Contrastare i pregiudizi 

Perché, nonostante i tanti progressi raggiunti, il mondo della disabilità è ancora schiacciato da pregiudizi e tabù. “Prima delle barriere architettoniche, bisognerebbe abbattere le barriere mentali!”, asserisce Bianca Maria Moioli: 71 anni, è volontaria a Roma presso “Casa Betania”, struttura fondata nel 1993 dai coniugi Dolfini per accogliere donne, giovani e bambini in difficoltà e che nel corso degli anni, con la Cooperativa l’Accoglienza, ha aperto tre case per minori  con disabilità anche gravi.

Empatia e comprensione

Ai media vaticani, Bianca Maria racconta la sua esperienza giovanile tra gli scout e la sua costante attenzione al tema della solidarietà, confluite poi in modo naturale nel volontariato. “Nel 2018 sono andata in pensione – racconta – e allora ho deciso di dedicarmi alla cura delle persone disabili. Ne avevo conosciute alcune tra gli amici dei miei tre figli ed erano stati tutti incontri bellissimi. Per questo, volevo essere in grado di capire meglio le loro difficoltà, perché la disabilità cambia la vita”. La volontaria non nasconde gli ostacoli iniziali: “Dopo tanti anni nel mondo del lavoro, pensavo di avere l’esperienza necessaria, di sapere tutto. E invece non ero pronta. Ad esempio: io sono una persona esuberante, parlo a voce alta, distribuisco abbracci…Ma questo mio atteggiamento a volte spaventava le persone disabili che assistevo”. Con il tempo, aggiunge, “ho capito l’importanza dell’umiltà, del mettersi nei panni dell’altro, immedesimarsi nel suo modo di sentire. Il più grande insegnamento che ho ricevuto è stato proprio questo: dall’altro si impara sempre”. 

Il volontariato non è solo un servizio che si presta ma affetto che resta 

Negli ultimi sette anni, Moioli ha assistito persone con disabilità cognitive, cercando di favorirne la socialità. I ricordi costruiti dal 2018 ad oggi sono tanti, Bianca Maria ne menziona uno in particolare: “Poco tempo fa, ho incontrato due ragazzi che avevo assistito a “Casa Betania” e che ora sono ospiti di una Rsa, dove si viene trasferiti una volta compiuti i 21 anni di età. Mi hanno vista e mi hanno riconosciuta! Si sono ricordati di me! Questo mi ha fatto capire che il volontariato non è solo un servizio che si presta, ma è anche e soprattutto amore, affetto che resta». Poi la volontaria si accalora, mentre parla della complessità sottesa all’integrazione e all’inclusione: «I pregiudizi sulle persone disabili ci sono ancora e sono tanti – sottolinea -. Solo il linguaggio sembra essere migliorato, tanto che oggi non si parla più di “handicappati”. Qualche speranza si riscontra tra i giovani, che sono più sensibili e attenti su questo tema. Ma è ancora troppo poco”.

Un gruppo di disabili assistiti da volontari

Un gruppo di disabili assistiti da volontari

No alla “cultura dello scarto”

Ciò che appare prevalente, continua Bianca Maria, è quella «cultura dello scarto» nei confronti di chi non è efficiente, produttivo. Una cultura deplorata tante volte da Papa Francesco: «È stato un Pontefice che ho ascoltato molto – conclude la volontaria, con un velo di tristezza nella voce -. Ha scardinato tanti atteggiamenti sbagliati, ponendo al centro dell’attenzione i deboli e gli emarginati. Davvero è stato il Papa della misericordia”. Di Jorge Mario Bergoglio parla anche Luca Baglivo, 27 anni, volontario a “Casa Betania” da cinque anni: “La sera del 24 dicembre scorso — racconta – abbiamo seguito in diretta televisiva l’apertura della Porta Santa della basilica di San Pietro. Eravamo insieme ai ragazzi che assistiamo ogni giorno. Quando hanno visto il Papa, hanno esclamato: ‘È in carrozzina come noi!'”. Quella sera, prosegue Luca, “ho imparato l’importanza di riconoscere la fragilità, perché fa parte del nostro vissuto”.

La storia di Emiliano 

La conversazione telefonica viene interrotta da una voce: “Ciao! Mi chiamo Emiliano”, dice, prima di allontanarsi. È Luca, allora, a farsi “portavoce” della storia di questo ragazzo di 21 anni, affetto da spina bifida e da un lieve ritardo cognitivo. A “Casa Betania” è arrivato che aveva poco più di un anno e, con il passare del tempo, ha raggiunto tanti traguardi. “Oggi riesce a fare quello che fanno i suoi coetanei, anche se ovviamente in maniera più limitata. Per lui è stato importante anche compiere un lungo percorso di accettazione: all’inizio, ad esempio, rifiutava il suo corpo, non se ne voleva prendere cura. Ora invece è diventato autonomo nell’igiene personale ed è un risultato del quale va molto fiero”.

Pensare con creatività 

“Creatività” è un termine che Luca usa spesso durante l’intervista: è uno strumento essenziale per aggirare gli innumerevoli inciampi e storture di cui è disseminata la vita di una persona disabile. “Una volta abbiamo portato alcuni ragazzi della ‘Casa’ a cena fuori, in un ristorante – racconta -. Tra loro c’era anche una giovane con gravi difficoltà di deglutizione. Abbiamo risolto il problema chiedendo allo chef di frullare tutte le pietanze destinate a lei”. Una soluzione semplice, creativa appunto, che ha permesso a tutti di stare insieme, in comunione.  

La disabilità è negli occhi di chi guarda 

“Il mondo della disabilità – sottolinea ancora Baglivo – spinge a porsi tante domande, perché la diversità è una grande ‘maestra’ nella vita”. L’interrogativo principale riguarda il futuro: una volta usciti da “Casa Betania”, le persone disabili si trovano davanti solo due possibilità: o l’accoglienza in una Rsa o l’ingresso in una vita pienamente autonoma, un traguardo particolarmente difficile da raggiungere. “Mancano delle strutture che siano in grado di ospitare chi si trova a metà strada, ossia in semi-autonomia”, evidenzia Luca. Poi, fa un’ultima considerazione, la più importante: “La disabilità è negli occhi di chi guarda. I disabili non sono ‘supereroi’, ma hanno bisogno di sentirsi ‘visti’, presi in considerazione, alla pari di tutti”.



Dal sito Vatican News

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