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Carcere e salute, Simspe: malattie in aumento tra detenuti sempre più giovani


In occasione del Giubileo del mondo della sanità, la Società italiana di medicina penitenziaria (Simspe) che ha da poco festeggiato i 25 anni dalla fondazione, lancia la sua proposta: un protocollo d’intesa tra i due Ministeri competenti per migliorare le condizioni dei detenuti con problemi di salute o di dipendenza

Roberta Barbi – Città del Vaticano

I detenuti sono cittadini con pari diritti degli altri, compreso quello, universale, alla salute: bisogna sempre tenere presente questo quando si parla di carcere dove, stando ai dati consegnati nel corso dell’ultimo convegno sul tema organizzato dalla Società italiana di Medicina penitenziaria, sono in aumento molte patologie, a partire da quelle psichiatriche, come purtroppo documenta anche la drammatica impennata dei casi di suicidio negli ultimi due anni. Ma non solo: malattie infettive, diabete, obesità, tumori e tossicodipendenza sono compagni di cella per molti ristretti. “Purtroppo non esistono dati raccolti a livello centrale – testimonia ai media vaticani il dottor Sergio Babudieri, direttore scientifico del Simspe – noi li raccogliamo privatamente con un team multidisciplinare composto da psichiatri, odontoiatri, cardiologi ecc. perciò abbiamo una visione abbastanza globale”.

La salute in carcere, una questione di competenze

Dal 2008 la competenza in materia di sanità in carcere è stata trasferita dal Ministero della Giustizia al Ministero della Sanità, quindi, in pratica, alle Asl regionali: “In alcuni casi ci sono stati dei benefici grazie al più diretto rapporto con ambulatori e ospedali, penso allo snellimento di pratiche come le radiografie o modelli virtuosi come l’Emilia Romagna – afferma Babudieri – altre volte non è così: ci sono attese lunghissime e poi tutti i problemi connessi. Le faccio un esempio: io ho sempre offerto le mie consulenze al carcere di Sassari; ci sono colleghi che hanno richiesto per detenuti anziani colonscopie per le quali c’era disponibilità a Cagliari! Si immagina cosa significa dover organizzare una traduzione per 200 km ad andare e 200 a tornare, magari di un detenuto anche con una condanna pesante?! Insomma, i problemi sono spesso legati al territorio”.

Ascolta l’intervista con il dott. Sergio Babudieri:

Condizioni di vita e malattie

Il peggioramento delle condizioni di vita negli istituti di pena, ha inevitabilmente causato un incremento delle patologie tra le persone private della libertà personale: il sovraffollamento, le strutture fatiscenti, le violenze, le proteste, sono tutte problematiche che stanno anche – ma non solo – alla base della crescita del tasso di suicidi. “Bisogna tenere presente che abbiamo una popolazione penitenziaria molto giovane – continua il direttore scientifico del Simspe – fatta eccezione per l’alta sicurezza e il regime speciale del 41 bis in cui ci sono anche anziani, i detenuti, soprattutto quelli stranieri, hanno un’età media che non supera i 40-50 anni”.

Dipendenze e malattie infettive

Nodo mai definitivamente sciolto sul tema salute e carcere è quello delle dipendenze da stupefacenti: ne sono affetti migliaia di detenuti e questo problema è alla base della quasi totalità dei reati connessi alla droga. In molti casi, inoltre, la dipendenza è strettamente legata al disagio mentale e la fragilità che affliggeva questi soggetti prima della carcerazione, “dentro” non può che acuirsi: “Quando siamo in presenza di doppia diagnosi anche psichiatrica, riusciamo a gestire bene la situazione in quei territori in cui esistono anche servizi specifici per le dipendenze che così non restano solo un problema del carcere – spiega ancora Babudieri – serve un coordinamento, anche perché molti di questi ristretti sviluppano patologie come l’epatite C e quindi richiedono anche altri tipi di cure”. Dalla pandemia di Covid in poi, inoltre, il tema delle malattie infettive è tornato alla ribalta: “Abbiamo molti detenuti, specie provenienti da alcune zone del mondo in cui non è stata debellata, che sono reattivi alla tubercolina – prosegue – essendo il carcere una comunità chiusa esiste un rischio potenziale di trasmissione multipla, non solo tra detenuti, ma anche verso gli agenti, il personale, gli operatori ecc”.


Sergio Babudieri, direttore scientifico del Simspe   (ufficio stampa Simspe)

La proposta del Simspe 

A voler allargare il discorso, ci sarebbe da parlare anche degli screening in carcere, sempre difficili da ottenere, come quelli odontoiatrici o quelli specifici della medicina di genere. Esami come la mammografia o una visita ginecologica che “fuori” sono gesti di prevenzione semplici da compiere, “dentro” diventano un ostacolo insormontabile e spesso si arriva troppo tardi. La proposta del Simspe è allora quella che la medicina penitenziaria venga riconosciuta come una specificità: “Bisogna mettersi in testa che la salute dei detenuti è un affare connesso con la sicurezza di tutto il Paese – conclude il dott. Babudieri – noi chiediamo che si colloqui tra Ministero della Giustizia e Ministero della Salute per arrivare a un accordo che garantisca l’omogeneità delle cure e dell’erogazione delle prestazioni su tutto il territorio nazionale”.



Dal sito Vatican News

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