L’Italia continua a registrare un calo della popolazione residente: al 1° gennaio 2025 si contano 58,93 milioni di abitanti, con una perdita di 37mila unità rispetto all’anno precedente. Questo declino si deve principalmente alla diminuzione delle nascite, che rimangono su livelli storicamente bassi, e a un tasso di fecondità tra i più bassi in Europa.
Un calo demografico ormai strutturale
Il numero medio di figli per donna nel 2023 è sceso a 1,20, in ulteriore diminuzione rispetto al 2022 (1,24). Questo calo è diffuso su tutto il territorio nazionale, con valori particolarmente bassi nel Centro (1,12) e nel Nord-Ovest (1,20). Il dato italiano resta tra i più critici in Europa, con un tasso inferiore a quello di Francia (1,79) e Germania, e vicino a Spagna (1,16) e Malta (1,08). In parallelo, l’età media delle madri al primo parto si è ulteriormente alzata, passando da 32,4 anni nel 2022 a 32,5 nel 2023. Questo dato riflette una tendenza consolidata: le donne italiane diventano madri sempre più tardi, spesso per motivi economici e sociali, influenzando negativamente il numero complessivo di nascite.

L’immigrazione mitiga il declino
Sul fronte della mortalità, il 2023 ha registrato 660.600 decessi, con una riduzione del 7,6% rispetto all’anno precedente. Questo valore segna un ritorno vicino ai livelli pre-pandemici del 2019, dopo gli anni critici della pandemia. La speranza di vita è in crescita: nel 2023 è stata stimata in 81,1 anni per gli uomini e 85,2 anni per le donne, guadagnando circa sei mesi rispetto al 2022.
Tuttavia, il processo di invecchiamento della popolazione continua: l’Italia rimane uno dei paesi con la quota più alta di anziani, con implicazioni significative per il sistema pensionistico e sanitario.
Uno dei pochi fattori che contribuiscono a contenere il calo della popolazione è l’immigrazione. Nel 2023, le iscrizioni dall’estero sono state 415.556, in leggero aumento (+1,1%) rispetto al 2022. Parallelamente, i trasferimenti di residenza interni tra comuni italiani sono rimasti stabili, con 1,44 milioni di spostamenti. La principale direttrice migratoria interna resta quella dal Sud e dalle Isole verso il Centro-Nord.

Come invertire la rotta?
«Il quadro tratteggiato da Istat è preoccupante. Urgono politiche strutturali, generose ed universali orientate a famiglia e giovani», commenta Adriano Bordignon, presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari. Che aggiunge: «Preoccupa il calo demografico delle nascite, pari al -2,6%. Con 1,18 figli per donna nel 2024 il tasso di fecondità è ai minimi storici. Il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, continua a essere fortemente negativo (-281mila). Stiamo sprofondando nelle sabbie mobili ed è evidente che quanto stiamo mettendo in campo, come sistema-Italia, è del tutto insufficiente per garantire un minimo equilibrio demografico. Da anni chiediamo una rivoluzione che il nostro Paese non è ancora disposto ad assumere, vittima di priorità che sono sempre altre, di mancate convergenze transpartitiche, di fragilità di alleanze tra politica, amministrazione locale, lavoro associazionismo e scuola. Ma anche politiche asfittiche e vincolate a patti di bilancio stringenti che invece si fanno flessibili per altre urgenze».
Bordignon rilancia su un tema: «L’anno della famiglia sembra sempre essere il prossimo in agende ormai attanagliate da crisi mondiali che oggi ci portano anche a parlare di guerra, militare o di dazi, come una possibilità di scenario ordinario. Cresce ancora anche il numero di italiani che lasciano il Belpaese. Nel 2024 sono stati 156mila, un +36,5% con un impatto ancora più significativo per il Mezzogiorno, gravato anche dal fenomeno delle migrazioni interne: -52mila, mentre il Nord guadagna 47mila residenti grazie ai trasferimenti da altre aree del Paese. L’Istat ci dice che il numero medio di componenti per famiglia è sceso a 2,2, rispetto ai 2,6 di venti anni fa. Oggi oltre un terzo delle famiglie anagrafiche in Italia è costituito da una sola persona evidenziando che il tema delle solitudini cresce in modo preoccupante. Le coppie con figli rappresentano meno del 30%, mentre aumentano le famiglie monogenitoriali (10,8%) e quelle senza figli (20,2%). Stiamo consumando il futuro in un’epoca che si fa vanto di cercare sempre la sostenibilità. Urgono politiche strutturali, generose ed universali orientate a famiglia e giovani. In tal senso, serve il coraggio, l’unità e la capacità di programmare per fare, da subito, le scelte operative conseguenti, considerando la spesa per far crescere il figlio, non come un costo individuale ma come investimento per il futuro dell’intera comunità. Occorre cambiare cultura e supportare la famiglia come soggetto sociale che, se messo nelle condizioni, è capace di generare benessere per tutto il Paese».