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“Mandi Bruno”, a Cormons l’ultimo commosso saluto a Bruno Pizzul

Ci sono le penne nere, che leggono la Preghiera dell’alpino e che con il loro coro animano la cerimonia di saluto a Bruno Pizzul, uno di loro, fino all’esecuzione finale di Signore delle cime. C’è la gente comune, nel Duomo gremito di Cormons (Gorizia), 7mila abitanti e sette chiese, come nota un’amica, friulana come loro, non ci sono quasi cravatte, ma gli abiti scuri, sobri, senza lussi delle persone vere, vicine: le persone della quotidianità di un uomo famosissimo e semplice, tornato a fare rete dov’era cresciuto, alla ricerca delle radici che i friulani ovunque nel mondo non perdono mai. «Si è detto di tutto in questi giorni», ha esordito don Vincenzo Di Mauro, arcivescovo emerito di Vigevano, che ha celebrato le esequie, parlando a una famiglia che evidentemente frequentava e conosceva, «anche a sproposito, io mi porto nel cuore la notte dell’Heysel, dove Bruno Pizzul ha avuto il coraggio di dire parole belle, parole buone, parole intelligenti, parole che, davanti a quei 39 morti, neanche un prete sarebbe stato capace di dire per suscitare una briciola di fede, di luce e di speranza. “Non sapevo quanto si sapesse in Italia dell’orrore cui stavo assistendo”, disse dopo qualche giorno, “Le notizie erano frammentarie contrastanti anche nella postazione dello stadio da cui trasmettevo: ho pensato ai tifosi in trasferta, a tutti quelli che a casa non avevano notizie non volevo allarmarli troppo ma non era neanche giusto minimizzare”. Sentendo lui ho detto “questo è un prete”, poi l’ho conosciuto meglio, ho conosciuto i figli e ho detto altro che il gigante buono come lo chiamavano a Milano, come avrebbe detto Martini scrivendo quella famosa lettera rubando qualcosa a Dostoevskji sarebbe stato meglio dire il gigante bello, perché nel bello c’è la pienezza anche del buono. Magari adesso scandalizzerò qualcuno, ma devo anche scandalizzare questi 11 nipoti. Voi magari poi potreste domandarmi “dov’è adesso?” Senza offesa di nessuno: non è certo dentro lì. Se chiamassimo qui un biochimico, aprirebbe, guarderebbe il corpo, conterebbe le cellule, le molecole e direbbe sono come tante altre miliardi di cellule e di molecole, non è dentro lì è un posto da cui neanche il Padreterno riesce a scagliarlo e mandarlo via. La Chiesa ci ha obbligato per 16 secoli a dire nel Credo che Dio è onnipotente e la gente si lamenta e dire: se lo fosse tirerebbe via la fame nel mondo, guarirebbe dai dolori. Dobbiamo crederlo per fede che Dio è onnipotente, perché non sempre capiamo tutto, quando parliamo di Dio. Non è dentro lì Bruno, ma anche senza che voi mi paghiate, vi svelo un segreto: Bruno adesso è qui, Maria, – dice indicandosi la testa e il cuore – , e neanche il Padreterno con tutta la sua onnipotenza potrà toglievelo dalla testa e dal cuore. Mi sono chiesto perché Dio permette questa cosa? Dio che ha creato l’uomo, sapendo che non tutti sarebbe stati credenti o avrebbero avuto fede, secondo me Dio ha inscritto nel cuore e nella mente dell’uomo la nozione dell’eternità, tirati fuori dalla terra e dalla polvere per vivere nel cielo. Vi renderete conto che farete un’esperienza strana, che ho vissuto con i miei, che vi capiterà di sentirvelo vicino quasi palpabile, più di quando era vivo vi dirò anche qualche cosa in più, soprattutto a voi figli così socievoli, belli encomiabili ma da buoni friulani riservati, adesso potrete parlare con il vostro papà, con il vostro nonno, sì, cara Maria, potrà parlare ancora con suo marito, e anche confidargli le cose che durante la vita il nostro pudore non ci permetteva di confidare al papà, adesso siete liberi, potrete dire tutto, con la sorpresa che a qualche domanda vi sembrerà che lui vi mandi delle risposte. E qualche volta quando meno lo penserete lo sentirete vicino quasi palpabile. È la nozione dell’eternità che Dio ha messo in noi e ci permette di non rompere questo legame. Se per caso in questi giorni senterete dire che era bravo e che era un santo, caro Bruno, io ti dico anche che non mi hai mai dato una parola di soddisfazione per questo mio Milan te lo dirò quando ci vediamo di là. Quando sentirete di tutto e di più, parole e gesti, se volete che anche di voi si parli bene si dica bene cominciate da adesso a non parlar male di nessuno, a essere come lui gentili, puliti, senza alzare il volume, garbati, adesso non da domani, come quelli che cominciano sempre la dieta da domani. Chiudo dicendo come diceva lui: Mandi, Bruno, Mandi».

È il saluto dei friulani, la loro formula di commiato: si è a lungo fatta risalire al latino «mane Deo», mentre ora, come si evince dagli approfondimenti della Società filologica friulana, si ritiene certo che venga da «mi racomandi», mi affido sottinteso a Dio.

È Fabio, il figlio che ne ha seguito le orme come giornalista, a farsi carico anche lì del ricordo pubblico: «Siamo stati travolti dall’affetto e dai ricordi, lo sport preso razionalmente è la cosa più inutile al mondo ma tesse relazioni e mette le persone in condizioni di dare il meglio, il fatto che papà abbia saputo raccontarlo bene fa sì che siamo qui così in tanti, per questo su iniziativa di mio cugino Marco che è stato l’angelo custode di papà e mamma in questi mesi vi invitiamo a un brindisi e altri ricordi: come dice il Qoelet c’è un tempo per essere tristi e un tempo per gioire, penso che papà avrebbe apprezzato questa celebrazione, ma credo che apprezzerebbe anche il momento successivo». L’una e l’altro luoghi e segni tangibili di relazioni vere, umane, profonde destinate a non finire.





Dal sito Famiglia Cristiana

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