Don Paolo Alliata, rettore del liceo Montini a Milano
I bambini ci pongono domande a cui non sempre sappiamo rispondere. O, quanto meno, per le quali non ci sentiamo all’altezza. Abbiamo chiesto a don Paolo Alliata, rettore del liceo Montini, di aiutarci a guidare i nostri figli, nipoti o alunni a vivere uno dei momenti significativi della vita Cristiana. I quaranta giorni che ci accompagnano alla Pasqua.
Don Paolo cosa vuol dire essere in Quaresima?
«Individuerei tre parole chiave: primo è 40, naturalmente un numero simbolico nella Bibbia. In genere, nel mondo antico, i numeri sono forieri di significati. 40, come gli anni nel deserto del popolo di Israele in cerca di libertà; 40, già in precedenza, come i giorni del diluvio, quindi l’immagine della purificazione, di un ricominciare; 40 i giorni di Gesù nel deserto per cercare di capire quale sarà il suo sentiero nella vita. E quindi 40, numero ampio ma definito con un tempo che ha un inizio e una fine. E questo individua un tempo speciale, un tempo particolare, appunto perché ha un inizio e una fine. Quindi è 40 giorni che i cristiani vivono in preparazione alla Pasqua, vogliono essere un tempo speciale. In cui, che cosa si fa? Seconda parola, “deserto”, che ritorna spesso nelle grandi narrazioni bibliche, anche in riferimento ai 40, appunto 40 anni, 40 giorni. Il deserto vuol dire l’essenzialità, vuol dire la frugalità, vuol dire lasciare cadere tutto ciò che è accessorio per tornare all’indispensabile. Se ti porti gli orpelli nel deserto, ciò che non serve veramente, ti appesantisci la vita e la rendi impossibile. Invece, nel deserto, bisogna stare a ciò che è assolutamente essenziale, vitale. Ecco, quindi, il lasciare andare le cose che ci soffocano. Il deserto è anche il luogo dell’ampiezza, della vastità, del non vedere confini. E quindi un luogo dello spazio, lo spazio aperto, ampio. Ecco, la Quaresima è il tempo dello spazio, si fa spazio per respirare meglio, per respirare più profondamente radicati ciò che è essenziale. Quindi, un modo per vivere la preparazione, la celebrazione della Pasqua, l’esplosione della vita, è di fare spazio».
Come faccio a fare spazio dentro di me?
«Qui ci sono delle pratiche che aiutano a fare spazio; c’è il digiuno che quando è serio vuol dire fare spazio nel corpo, nella carne, vuol dire respirare meglio, essere più lucidi sulle cose, dormire meglio e quindi anche lavorare meglio e quindi godere di più del fatto di essere vivi. Tutto questo forse si può dirlo ai bimbi, ragionando insieme a loro di come ci si sente dopo aver mangiato troppo o come ci si sente dopo avere fatto una bella passeggiata in montagna. Si arriva in alto, si è mangiato il giusto, anzi magari si è rinunciato a qualcosina, per poter camminare meglio e ci si gode il risultato del proprio impegno. Così è alla fine dei 40 giorni: ci si gode il risultato del proprio impegno, cioè si gode meglio della celebrazione della Pasqua, si avvertono le energie, anche intorno a noi, della natura che si risveglia dal sonno in cui ha lavorato tanto in inverno. Quindi digiuno anche da tutto ciò che ostacola la vita di tutti i giorni, una dipendenza eccessiva dalle cosette, dal cellulare, dai videogiochi. Ciò che è importante non è la pratica in sé, ma la domanda: che cosa mi impedisce di essere proprio libero e contento nella vita? E che cosa posso fare per camminare meglio verso la Pasqua, per camminare più liberamente, per godere di quello che c’è, anziché essere sempre impegnato a rimpiangere quello che non c’è? Anche queste sono piccole schiavitù. Quindi fare spazio. Fare spazio vuol dire anche fare spazio all’ascolto della parola di Dio. Giovanni Battista si ritira nel deserto per ascoltare la parola di Dio, Gesù nei 40 giorni si ritira per ascoltare la parola di Dio e, quindi, trovare nell’arco dei 40 giorni un momento, magari tutti i giorni alla sera, in cui ascoltare un racconto biblico oppure sapienziale, quelli di Bruno Ferrero per esempio raccolte di storielle, un momento di preghiera la sera, perché lo spazio che si fa nel cuore è quello in cui in cui poi scorre la preghiera. Quindi potrebbe essere un momento serale, nell’angolino di preghiera creato apposta in casa, magari con un po’ di sabbia che richiama il deserto, magari col calendario della Quaresima, se uno vuole, e appunto i 40 giorni e magari con la Bibbia o un Vangelo aperto sulla sabbia per richiamare la parola di Dio. Un momento serale con la famiglia in cui ci si raduna, si legge il racconto e poi si può dire “per cosa voglio dire oggi grazie? per cosa voglio chiedere perdono? e chi voglio affidare nella preghiera questa sera? Questo diventa un modo per fare spazio alla preghiera».
Infine, la terza parola dopo 40 e deserto?
«La parola dopo 40 e deserto, direi relazioni. Cioè si fa spazio perché il cuore sia più pronto ad accogliere chi ho intorno e magari chi non ho fisicamente intorno, ma voglio raggiungere con il mio bene e la mia preghiera. Libero tempo che di solito brucio in modo, come dire, stando dietro alle cose accessorie, secondarie e, invece, rimetto al centro qualche relazione che ho un po’ perso per strada. È tanto tempo che non vado a fare visita ai nonni, agli zii o ai cugini. È tanto tempo che non guardo bene negli occhi quel mio compagno che alle volte è un po’ triste, quella compagna che una volta mi ha chiesto aiuto e ho capito che aveva un po’ una fatica e poi non non me la sono più “filata”. Si fa spazio per dare più spazio alle relazioni. E, quindi, anche qui un esercizio potrebbe essere ogni giorno un gesto di attenzione, di gentilezza, magari un po’ coraggioso, un po’ fuori dagli schemi nei confronti di qualcuno. Un altro modo è quello di appunto classico, rinunciando qualche cosa di accessorio, di raccogliere i proventi delle rinunce per poi destinarli a qualcosa che abbiamo deciso insieme ai nostri bimbi e quindi poi portarlo fisicamente o alla Caritas parrocchiale, facendoci raccontare di una famiglia dentro i limiti naturalmente della privacy, e quindi sapere chi andiamo in qualche modo ad aiutare oppure destinandolo a quello che decideremo».
Quest’anno la Quaresima coincide quasi col Ramadan e sempre di più ai bambini capita di confrontarsi con i coetanei e il loro digiuno. Come dialogano queste due esperienze?
«Il mio consiglio ai bimbi è di chiedere ai loro compagni musulmani come vivono loro il Ramadan, se lo vivono e che cosa significa per loro. Questa è l’occasione di un incontro»