Stasera, in prima tv, va in onda su Rai 3 Il documentario La Valanga Azzurra (presentato alla scorsa Mostra del cinema di Venezia) ripercorre la parabola irripetibile della nazionale italiana di sci alpino degli anni ’70, guidata dal leggendario tecnico Mario Cotelli e capitanata da campioni come Gustavo Thoeni e Piero Gros. Attraverso successi che hanno riscritto la storia dello sport italiano, come la conquista di cinque Coppe del Mondo e numerose medaglie tra Olimpiadi e Mondiali, il documentario celebra le rivalità interne, i contrasti caratteriali e i sacrifici che hanno reso invincibile questa squadra. Le testimonianze inedite dei protagonisti, intrecciate alla narrazione del regista Giovanni Veronesi, che rivela in questa occasione i suoi trascorsi di aspirante campione, fanno rivivere l’epopea unica di un ciclone sportivo, dagli esordi gloriosi fino a un inevitabile declino.

I protagonisti di un’impresa
La parabola della Valanga Azzurra coincide con quella di Mario Cotelli, istrione dal grande intuito e carisma alla guida della nostra nazionale, dalla sua nomina nel 1969 fino al suo addio polemico nel 1978 in aperta rottura con gli allora vertici della federazione italiana. Si parte dai trionfi di Gustavo Thoeni che ad un tratto l’avversario più forte, Piero Gros, se lo ritrova in casa. È una rivalità interna dove, tuttavia, mai è mancato un fondamento dello sport quale il rispetto. Una rivalità che è servita da stimolo per tutti i componenti del gruppo a dare di più. Una rivalità sana.
Cinque i fotogrammi che meglio ritraggono l’epopea della Valanga: la cinquina di Berchtesgaden il 7 gennaio del 1974; la doppietta di Thoeni ai mondiali del 1974 a St Moritz nell’anno che la coppa del mondo la vince Piero Gros; l’epico slalom parallelo di Ortisei che assegna a Gustavo la sua quarta sfera di cristallo nel 1975 (la quinta consecutiva della Valanga) in un leggendario duello finale con Ingemar Stenmark; le Olimpiadi del 1976 a Innsbruck che consacrano Piero Gros e la Valanga; e infine l’ultimo acuto, il canto del cigno nella tripletta nello slalom di Coppa del Mondo a Madonna di Campiglio nel dicembre dello stesso anno (primo Fausto Radici, secondo Piero Gros e terzo Gustavo Thoeni). Da quel giorno i nostri vinceranno sempre meno, fino a non vincere proprio più. Il sipario cala lentamente, e sfocia nel dramma con la tragica fine di Leonardo David, il ragazzo valdostano dai riccioli biondi e il sorriso sulle labbra che stava per raccogliere il testimone di quel gruppo leggendario. L’erede c’era, ed era lui che Stenmark lo aveva pure clamorosamente battuto nello slalom di Oslo il 7 febbraio del 1979. Fu un destino maledetto a portarselo via.

Il regista Giovanni Veronesi con Gustavo Thoeni oggi in una scena del documentario
Il sogno del regista che voleva fare lo sciatore
Giovanni Veronesi, sceneggiatore e regista (Il mio West, Viola bacia tutti, Manuale d’amore, Non è un paese per giovani...), fratello dello scrittore due volte premio Strega Sandro Veronesi, ha realizzato questo documentario inseguendo un suo sogno givoanile che ci racconta lui stesso:
«Non avevo mai saputo paragonare lo sci a qualcos’altro e poi, un giorno, mio fratello Sandro scrisse un romanzo, XY, e lì ho imparato a farlo:
Sciare è come scrivere senza punteggiatura senza virgole né punti senza vincoli né cancelli sciare è libertà assoluta e curva dopo curva con le cosce che ti bruciano essere felici.
Io sono uno sciatore mancato, dicono i miei amici. Io invece dico “fallito”. Non ho fatto altro che sciare fino a 14 anni, gara dopo gara, per diventare un campione e non ce l’ho fatta. Questa è la spinta più forte che mi ha convinto a raccontare la storia della Valanga Azzurra. Quelli sono davvero i miei miti, sono quello che io avrei voluto essere nella vita, sono Me dentro. Facendo questo documentario ho chiuso per sempre il cerchio. Ho messo la parola fine alla mia esperienza sugli sci e non andrò mai più a sciare. Ho deciso, che è giusto così, che raccontare una storia del genere deve avere uno scopo privato, deve anche essere un’esperienza personale e io la farò essere la mia ultima volta. Raccontiamo le imprese di atleti come Gross e Thoeni, che portarono lo sci ad essere in quegli anni il secondo sport nazionale dopo il calcio e mi sono dato da fare per tirar fuori dalle bocche di gente zitta, tutte le emozioni, le invidie e i sentimenti che regnarono nei cuori coraggiosi di quei campioni senza tempo. Sono andato a sciare con loro e ho cercato, nelle chiacchierate sulle piste e in seggiovia, di estrarre la vera natura del campione, quella del virtuoso, quella del sacrificio di un’infanzia diversa, quella che si esprime e viene fuori solo curva dopo curva senza virgole né punti, senza scrupoli né ostacoli, sciando accanto alla tua ombra al ritmo di un “click” che ti fa curvare solo in quel punto, né un attimo prima né uno dopo, così come accade nella musica dove chi va fuori tempo “inforca”.
C’è la neve nei miei ricordi c’è sempre la neve e mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare».