«Due discoteche 106 farmacie», è noto e innegabile che dietro la canzone Con un deca, (1992), dove il “deca” è il biglietto da diecimila lire di allora, valore circa 5 euro, potere d’acquisto nel 1992 pari agli attuali 8,86 euro (secondo il calcolatore online del Sole24ore), ci sia Pavia, la città dove Max Pezzali e Mauro Repetto, fondatori degli 883, sono nati e cresciuti, da cui quel “deca” non bastava a scappare, illudendosi magari che il successo fosse altrove.
È per buona parte tra le sue vie, storiche o recenti, che si snoda la serie Hanno ucciso l’uomo ragno, omonima del più grande successo del gruppo in esclusiva in otto puntate dall’11 ottobre su Sky e in streaming su Now, che racconta le origini di quell’avventura musicale partita ed esplosa in provincia tra compagni di scuola.
Chi conosce la città riconosce subito il Ponte coperto, sorto nel secondo Dopoguerra un po’ scostato rispetto alle rovine del vecchio, bombardato, che sorgeva in linea rispetto alla strada principale del centro che percorre la città da nord a sud: quando i protagonisti si affacciano dal ponte o dalle riprese dall’alto se si sta attenti se ne vedono affiorare i resti.
UNITI DAL PONTE COPERTO
Nella serie il giovane Max abita in Borgo basso, dal lato delle case colorate oltre il ponte, una delle viste più belle della città, luogo di ristoranti storici di cucina pavese come il Previ e la Malora, ma dove ogni casa reca, con le tacche, traccia delle piene del fiume. Mauro invece sta dall’altra parte, in centro storico, dalle parti di via Luigi Porta, una delle vie antiche della città medievale. Non sono – che si sappia – i luoghi esatti in cui hanno abitato nella vita reale. In una scena, in cui Max e la bella ragazzina bionda oggetto dei suoi desideri passano in motorino, un Ciao, si riconosce il voltino con l’edicola votiva di Porta Pertusi, sempre uguale a sé stesso. Le scene più periferiche sono invece girate nella zona di Lardirago e Ca’ Della Terra.
DISCOTECHE E FARMACIE
Probabile che le farmacie – oggi sono una ventina abbondante senza contare le parafarmacie – siano a spanne le stesse di allora: 106 era un’iperbole, un’esagerazione sparata per rendere il punto di vista di due adolescenti più interessati ai locali da ballo. Le discoteche invece erano davvero due: il Docking e il Matisse, (ma la seconda ha cambiato nome tante volte, prima di sparire con la moda di quel genere di locali, forse anche perché così strizzati tra le case del centro senza vie di fuga sarebbero incompatibili con le norme di sicurezza attuali).
Erano entrambe a tre passi a piedi dal voltino di cui sopra, in pieno centro storico: al posto della prima, un anonimo portone di un anonimo palazzo, non che fosse appariscente a memoria l’ingresso di allora; l’altra dove si suonava dal vivo, nella parte già storica, più o meno la stessa cosa: prima che sparissero, però, un bel po’ di studenti pavesi poco meno che coetanei degli autori, nei primi anni Novanta, possiamo testimoniarlo, s’è scatenato anche sulle note di Hanno ucciso l’uomo ragno, composta nel 1990 e uscita nel 1992.
Come le discoteche, alla maniera di allora, sono scomparsi i negozi di dischi, come quello in cui si vede aggirarsi Max all’inizio. Ce n’era uno molto fornito all’epoca in centro, si chiamava Club 33 ed era il punto di riferimento musicale dei ragazzi di quegli anni là in città, spazzato da tempo con l’evoluzione tecnologica: quello che hanno ricostruito nella serie non ha nome ma un po’ gli somiglia.
SUI BANCHI DI SCUOLA CON LICENZA POETICA
Nel racconto l’incontro fatale tra Max e Mauro, senza il quale gli 883 non sarebbero mai nati, avviene sui banchi del liceo Taramelli dove Max arriva, dopo essere stato bocciato da un’altra imprecisata scuola che non è, come qualcuno ha scritto in questi giorni, il liceo Copernico.
Errore veniale perché, in effetti, in tema di scuola ci sono un po’ di tessere da rimettere a posto: nella vita reale Max e Mauro si sono incontrati, da compagni di banco, al Liceo Scientifico Copernico, un edificio di cemento armato fondato nel 1980 in zona Ticinello, che vanta una grande aula magna, tra le più grandi città, che ospita spesso incontri di educazione civica e scientifica. Stando alla ricostruzione di una prof della scuola, che qualche tempo fa aveva scritto una lettera aperta per Max alla Provincia pavese, quotidiano locale, i due si sarebbero incontrati, davvero compagni di banco, nel 1984.
Il racconto della fiction è avanzato di qualche anno. Al centro c’è infatti il 1990, quando i due ragazzi veri, Pezzali è del 1967, non erano già più liceali. Nel film invece all’esame di maturità si sente dettare una traccia: «La minaccia permanente di guerra nasce dalla mancanza di fiducia tra gli Stati e dal reciproco timore di subire un’aggressione, oltre che dal ricorrente insorgere di mire egemoniche. È perciò necessario, oggi più che mai, creare tra i popoli uno stato di fiducia e di sicurezza…». Non è un’invenzione è davvero la traccia dello scritto di italiano del 1990.
Licenza poetica vuole che il duo frequenti nella fiction il liceo Scientifico Taramelli, che è davvero l’altro liceo scientifico statale della città, quello storico, più antico, nella sede di un ex convento carmelitano. Si potrebbe pensare che sia stato scelto perché situato in un edificio più “scenografico” del Copernico, ma in realtà la scuola che si vede nella fiction non è neppure il Taramelli, forse perché quest’ultimo ha l’entrata affacciata su una via stretta in cui non sarebbe stato facile girare una scena d’insieme: l’ingresso che si vede, con il portico, appartiene invece a un altro istituto statale pavese: la scuola media Felice Casorati.
IL primo strumento musicale? Le campane di San Michele
Licenza narrativa anche per l’esame all’università di Mauro: se s’è mai arrampicato su uno specchio a un esame, non è stato in una materia economica e in un’aula come quella. Mauro Repetto si è, infatti, laureato in storia e critica del Cinema con Lino Peroni, che teneva le sue lezioni in aula di disegno, una delle aule storiche dell’Università nel palazzo centrale, dove erano allora i dipartimenti di Lettere moderne oggi spostati alla Caserma Bixio, in piazza del Lino.
La chiesa che si vede, teatro di una consegna di fiori e di un matrimonio nella fiction, è Santa Maria del Carmine, iniziata nel 1374, esempio pregevole di gotico lombardo, una delle quattro basiliche della città che in un fazzoletto di poche centinaia di metri percorribile agevolmente a piedi concentra un patrimonio artistico di notevole valore. In un video dedicato alla città Max Pezzali ha raccontato che le campane di una chiesa pavese, in cui ha «fatto il chierichetto aggiunto da bambino», sono state il primo strumento musicale suonato nella vita: non sono, però, quelle del Carmine, ma quelle di San Michele Maggiore, romanico lombardo, teatro nel 1155 dell’incoronazione di Federico Barbarossa, ma di fondazione molto più antica.
Ricostruita altrove invece, in una viuzza del centro più defilata rispetto alla realtà, l’insegna del negozio di fiori del padre di Max che si vede nella fiction: il fioraio, in pieno centro storico, all’incrocio quasi tra cardo e decumano, cuore antico della città che del castro romano conserva il reticolo a quadri di strade perpendicolari e parallele, in verità non si è mai chiamato Pezzali semmai Max quando divenne famoso, per la città, restò “il figlio di Sergio”, il nome di suo padre – senza baffi – con cui era noto anche il negozio. Esiste ancora, sta ancora lì, ma ha cambiato gestione quando papà Pezzali si è ritirato.

I FIORI DI MARIA DE FILIPPI E LA BOCCIOFILA VISITATA DA PAPA WOJTILA
Nel film si cita un episodio, collegato a Maria De Filippi, una consegna di fiori da parte di Max, per conto del negozio: fiori da inviati da Maurizio Costanzo. Vero che Maria De Filippi abitava a Pavia, vero, a detta di Pezzali in una testimonianza televisiva, che ci sia stata una consegna, una sola, da parte sua quando ragazzo qualunque aiutava il padre.
Non è pavese invece la Bocciofila dove prendono un caffè Max e Silvia: si tratta del Circolo bocciofilo La Sorgente, annesso alla parrocchia dell’Ascensione nel quartiere del Quarticciolo a Roma, dove è girata parte della serie, che fu visitato anche da papa Giovanni Paolo II nel febbraio del 1980. Potrebbe apparire insolito come bar di ritrovo per due ragazzi di quell’età, eppure era piuttosto comune all’epoca anche nel pavese che si trascorressero serate se non proprio tra le bocce, giocando a Bowling e nei locali annessi, dove a volte c’era anche la pista per pattinare, rigorosamente su quattro rotelle.
Non esiste più invece quello che era noto a Pavia come quartier generale degli 883 reali, il bar Dante nel quartiere città giardino: ha chiuso i battenti nel 2007.
Un aneddoto vuole che il primo contratto dei due aspiranti musicisti, non discografico, ma editoriale per i testi delle canzoni, sia stato strappato da Mauro, il più intraprendente, grazie a un appuntamento rimediato attraverso un numero di telefono recuperato sugli elenchi spulciati alla sede della Sip, la Telecom dell’epoca: si trovava in piazza della Posta, nel punto esatto in cui nella fiction in una scena notturna si vede camminare Mauro: citazione o coincidenza?
EINSTEIN SUL TICINO
È vera, in parte, la storia di Albert Einstein a Pavia, che il Museo per la Storia dell’Università ricostruisce così: «Nel marzo 1894 vennero fondate a Pavia le officine elettrotecniche Nazionali Einstein-Garrone lungo il tratto del Naviglio che sfocia nel Ticino. Nel 1895 si trasferirono a Pavia le famiglie di Jakob e Hermann Einstein, lo zio e il padre del sedicenne Albert, che avevano avviato un’attività che avrebbe partecipato ai lavori per l’illuminazione di Palazzo Botta, sede di alcuni istituti dell’ateneo pavese. Un ambizioso progetto di elettrificazione di Pavia, invece, non andò in porto e, a soli due anni dalla fondazione, le officine vennero messe in liquidazione».
Albert era rimasto in collegio a Monaco per completare il Ginnasio, ma insofferente al clima della scuola, dopo pochi mesi la lasciò per raggiungere la famiglia in Italia. La storia della bocciatura nasce in realtà dal fatto che, non avendo la licenza di scuola superiore, Albert Einstein provò nel 1895 ad accedere, a 16 anni, con due anni di anticipo al Politecnico di Zurigo, tramite un esame di ammissione che non superò nonostante i buoni voti nelle discipline scientifiche per le prove insufficienti in campo umanistico. Vi entrò successivamente dopo aver preso il diploma ad Aarau. Insomma a Pavia era arrivato, ma non per castigo.

LA SERIE
Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883, 8 episodi dall’11 ottobre su Sky e Now, è prodotta da Sky Studios e Groenlandia, da un’idea di Sydney Sibilia e Matteo Rovere su uno script di Francesco Agostini, Chiara Laudani, Giorgio Nerone, e dello stesso Sibilia, che è anche regista con Alice Filippi e Francesco Ebbasta. I due protagonisti sono Elia Nuzzolo (Pezzali) e Matteo Oscar Giuggioli (Repetto).